A quanto pare non si torna più indietro. Il Cavaliere nel corso della riunione con i gruppi parlamentari del Pdl ha dato i classici sette giorni al governo. Un arco molto breve di tempo per approvare la legge di stabilità che contiene la manovra di bilancio per il 2014. Poi al voto. Con l’attuale legge elettorale, inevitabilmente. Una sistema sul quale pesa il giudizio di legittimità da parte della Corte Costituzionale. Un vero pasticcio. Una procedura, quella adottata da Berlusconi, per la verità non molto trasparente e, in definitiva, nemmeno tanto chiara. Non a caso qualche esponente del partito, uscendo dalla riunione confessava di non averci capito niente.
Una confessione che la dice lunga sull’affanno che attraversa gli animi. Prima le dimissioni di senatori e deputati. Poi, come se non bastasse, quella dei ministri che segnano la fine del governo Letta. Ma per quale ragione? Qual è il vantaggio che il Cavaliere ottiene da un’operazione così spericolata. Il voto immediato è la spiegazione che si raccoglie al quartier generale del Cavaliere. E con quali certezze di vittoria? Poche per la verità. Perché sull’altro piatto della bilancia pesano i danni dell’instabilità. L’economia che traballa, la ripresa che si allontana, il mercato che presenta il suo volto più feroce. Ieri un assaggio. In mattinata la Borsa era arrivata a perdere quasi il 2% e lo spread era salito sopra quota 290. Solo nel pomeriggio la febbre è un po’ scesa essendosi diffuse le voci di una possibile soluzione. Magari un Letta-bis oppure un governo di scopo che Napolitano potrebbe affidare a Fabrizio Saccomanni o a Giuliano Amato. Comunque un pasticcio proprio nel momento in cui il Paese avrebbe bisogno di dare ai mercati un’immagine di grande coesione. Incombe il giudizio negativo da parte delle agenzie di rating. Una nuova retrocessione (già preannunciata da Fitch) farebbe impennare i rendimenti dei titoli di Stato mandando in frantumi tutte le speranze di risanamento dei conti pubblici. A questo punto non resta che sperare nel pentimento.
Non certo della leadership del Pdl ormai vittima di una deriva estrema, ma dei gruppi parlamentari che, per senso di responsabilità, concedano ancora la fiducia. Giusto il tempo di superare l’emergenza e poi, a febbraio, tornare alle urne.
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