La crisi di governo porta subito l’aumento dell’Iva, ma anche il rischio che si debba versare la seconda rata dell’Imu. Ma forse pure la prima, tenuto conto che il relativo decreto è ancora in corso di approvazione in Parlamento. In più, a dicembre arriva la versione hard della Tares: il vero salasso.
La mossa di Silvio Berlusconi, che voleva protestare contro l’aumento dell’Iva, potrebbe quindi avere l’ironico risultato di rendere ancora più pesante il carico fiscale sugli italiani. Senza contare il rischio più grande rappresentato dalla riapertura dei mercati finanziari. Già la settimana scorsa dopo le dimissioni dei parlamentari del Pdl il differenziale tra il nostro Btp ed il Bund tedesco è salito a 270 punti base, 35 più di sette giorni prima. E ogni 10 punti in più, secondo i calcoli del Tesoro, equivalgono a regime a un miliardo di euro di maggior spesa per interessi. A questo dobbiamo aggiungere la tagliola delle agenzie di rating. Per tutta la scorsa settimana si erano rincorse le voci su un possibile declassamento del debito italiano. Le voci di corridoio parlano di un autorevole intervento di contrasto da parte di Mario Draghi. Il governatore della Bce avrebbe fatto la voce grossa in difesa dell’Italia. Ma, di fronte al disastro che si sta materializzando sul fronte politico, che cosa potrebbe fare ancora? La partita è di una delicatezza enorme perchè una nuova bocciatura farebbe precipitare i nostri Btp nell’inferno dei “junk bond”, i titoli spazzatura. E’ vero che la credibilità delle agenzie di rating è molto ridotta. Ma è anche vero che ci sono regole molto restrittive. Soprattutto negli Usa dove i fondi pensionistici non possono detenere “junk bond”. Un nuovo giudizio negativo farebbe scattare delle vendite forzose che, come onde concentriche, partendo dagli Stati Uniti coinvolgerebbero tutti i mercati mondiali. Facile immaginare le conseguenze distruttive sullo spread considerando che, ancora oggi, il 35% del debito pubblico italiano è in mani straniere. L’allarme arriverebbe presto a Bruxelles: l’Italia deve attuare una manovra da sei miliardi per rientrare nei parametri del 3%. Altrimenti la Ue riaprirà quella procedura di infrazione per deficit eccessivo da cui eravamo usciti a primavera.
Un'intesa politica appare molto difficile, se non impossibile, anche sulla Legge di Stabilità che il governo deve presentare entro il 15 ottobre. E’ lo strumento per il taglio del cuneo fiscale, la riforma dell'Imu e della Tares, la revisione delle aliquote Iva. Tutti interventi per i quali deve essere trovata una copertura finanziaria con tagli di spesa o nuove entrate, comunque con operazioni molto difficili dal punto di vista politico, di fatto impensabili senza un accordo tra il Pd e Pdl. Se tuttavia il governo riuscisse a tenere in linea i conti di quest'anno, per i conti pubblici non ci sarebbero più grossi rischi di deragliamento nel 2014.
Dal prossimo anno, infatti, entra in vigore la modifica costituzionale che garantisce il pareggio di bilancio con un tetto alla spesa pubblica, che il governo sarebbe automaticamente obbligato a correggere non appena dovesse essere sforato. Inoltre il nuovo regime, almeno finché non si sarà raggiunto il pareggio strutturale di bilancio, cioè nel 2015, garantisce la destinazione alla riduzione del deficit pubblico di ogni eventuale extra-gettito. Se le entrate dovessero insomma andare meglio del previsto, ogni «tesoretto» verrebbe impiegato per tagliare l'indebitamento e accelerare i tempi del risanamento di bilancio. Serve a tenere l’Italia agganciata all’Europa. Purtroppo visto quello sta succedendo, il Mediterraneo rischia di inghiottirci.
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