Sarebbe piaciuto a Papa Francesco un prete come Pino Puglisi. Un prete povero che voleva una Chiesa per i poveri. E che venti anni fa versò il suo sangue sul marciapiedi sotto casa, come il buon pastore che non fugge davanti ai lupi per difendere il gregge. Il parroco di Brancaccio conosceva «l'odore delle sue pecorelle» (altra splendida espressione di Bergoglio) e sapeva dove cercarle: nei vicoli sporchi, nei tuguri senza fognature. Radunava i ragazzini del quartiere e li portava al Centro Padre Nostro. Riuniva i volontari e andava al Comune o dal prefetto per chiedere una scuola media, strutture sportive, servizi sociali. E diceva, con semplicità: ciò che è un diritto non si deve chiedere come un favore. A tutti proponeva i valori cristiani dell'amore e della solidarietà, alternativi a quelli mafiosi della violenza e della sopraffazione.
Con grande coraggio e coerenza il sacerdote mise alla porta gli organizzatori di feste pseudo-religiose che costavano decine di milioni di lire («Qui la gente muore di fame e queste vostre idee non c'entrano nulla con la religione»). Stesso destino per i politici collusi che utilizzavano la parrocchia come grancassa elettorale («Con quale faccia vi presentate qui dopo quello che avete fatto a questo quartiere dove non c'è niente per i bisogni delle persone...?»: così li apostrofò una volta). Rifiutò offerte da imprenditori complici dei mafiosi, organizzò manifestazioni per ricordare Falcone e Borsellino. Cambiò il percorso della processione: non più fermate davanti ai palazzi dei boss, ma soste di fronte alle umili case degli ultimi. Santità e legalità andavano quindi di pari passo, a Brancaccio.
La sua era una scelta di povertà vissuta con consapevolezza francescana e non ostentata ma evidente a tutti. 3P (dalle iniziali di padre Pino Puglisi, come amava farsi chiamare) non aveva conto in banca, viveva in una casa popolare in affitto piena solo di libri, aveva una mal ridotta Fiat Uno rossa, comprata al mercato dell'usato. Il suo stipendio di insegnante serviva a pagare il mutuo che era stato acceso per acquistare la palazzina del centro Padre Nostro. Ciò che rimaneva era diviso per i mille bisogni dei suoi parrocchiani. Aveva il serbatoio dell'auto sempre pieno (per poter accorrere dove era necessario il suo aiuto, anche di notte). E il suo frigorifero era sempre vuoto. Ma la Provvidenza si manifestava immancabilmente sotto forma di un piatto caldo offerto da un vicino di casa o da una coppia di amici. In caso contrario 3P mangiava scatolette. Anzi, mangiava «nelle» scatolette, senza neanche versare il contenuto nel piatto (così - spiegava - risparmiava tempo). E che emozione nel leggere delle abitudini alimentari di Bergoglio a Buenos Aires: anche lui mangiava scatolette... E ora, in Vaticano, si è messo a guidare una vecchissima R4 bianca, uguale a quella che aveva in Argentina.
Allo stesso modo Pino Puglisi invitava tutti ad accogliere gli emarginati dalla società. Ma gli ultimi non sono tali soltanto per la quantità di denaro posseduta. Ecco una sua riflessione: «Ciascuno può avere i suoi poveri a cui andare incontro, i suoi anziani, i suoi emarginati. Oggi non sono soltanto poveri quelli che non hanno denaro, ma talvolta sono più poveri quelli che non hanno chi stia accanto a loro, che non hanno amici, che sono soli, quelli che cercano consolazioni che poi non trovano e cercano di colmare la loro solitudine attraverso la droga, l'alcol e altre forme di dipendenza».
E si può fare ancora un parallelo con quanto detto da Papa Francesco: di recente ha invitato i sacerdoti a «consumare la suola delle scarpe». Padre Puglisi morì con le scarpe rotte. Gli amici che videro il suo corpo riverso per strada ricordano ancora quelle suole bucate. Un vicino di casa gli regalò quindi un paio di scarpe nuove per poter entrare nella bara che fu esposta in Cattedrale. E dire che il sacerdote, figlio di un calzolaio, avrebbe saputo ripararle, quelle scarpe vecchie. Ma il suo tempo era tutto donato agli altri, non lasciava per sé neanche quei pochi minuti necessari per risuolare i suoi consunti mocassini.
Per questa sua opera instancabile di evangelizzatore ed educatore dei giovani fu ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. Gli assassini hanno odiato la sua fede. E 3P è la prima vittima della criminalità organizzata a essere martire della Chiesa cattolica. La grande festa della beatificazione risale al 25 maggio scorso, sul prato del Foro Italico, davanti a 80 mila persone. Oggi pomeriggio, alle 18, il cardinale Paolo Romeo celebrerà - per la prima volta in venti anni - la messa sul luogo del delitto, in quel piazzale che si macchiò di sangue.
La sua morte è stata un dono per tutta la Chiesa. Ma anche per i laici, che vedono in lui una figura di riferimento limpida e un esempio nel difficile cammino della legalità. Per la comunità ecclesiale, inoltre, Pino Puglisi è stato uno spartiacque. Ora non è più possibile affrontare la «questione mafia» con mezze misure, silenzi o sottovalutazioni, come tante volte in passato.
Il 15 settembre 1993 è un punto di svolta. Per arrivare alla proclamazione del martirio è stato infatti necessario stabilire che i mafiosi (col rito di affiliazione, la «punciuta») rinnegano il loro battesimo cristiano ed entrano a far parte di «un'altra religione», in cui il Padrino ha preso il posto del Padre. Quindi, nel momento in cui i boss eliminano padre Puglisi, sono equiparabili ai nazisti, ai popoli africani che trucidano i missionari, ai miliziani dell'Imperatore di Roma che faceva uccidere nel Colosseo i primi cristiani che non lo adoravano. Duemila anni dopo è toccato al mite padre Puglisi incontrare sotto casa le belve, all'apparenza più umane, ma non per questo meno feroci.
Il martirio di 3P ha finalmente gettato fuori dal Tempio i mafiosi. Ha spazzato via tutti gli equivoci alimentati ad arte dagli stessi «uomini d'onore» con il loro armamentario di santini, bibbie annotate e finte pratiche cristiane. «Sono religiosi solo a parole», ha detto, lapidario, il cardinale Romeo nell'omelia della beatificazione.
Applicando questo principio (i mafiosi non sono cristiani, mafia e Vangelo sono incompatibili), di recente numerosi vescovi in Sicilia hanno rifiutato i funerali in chiesa ai boss. Prima di procedere, ne avevano anche parlato proprio con Papa Francesco che ha detto (il 20 maggio scorso nella visita «ad limina»): è questa la strada giusta da percorrere. Una via coraggiosa e che segna la maturazione definitiva della coscienza ecclesiale su questi temi. Nell'incontro dei vescovi dell'Isola col Pontefice si è discusso anche di padre Puglisi e Bergoglio lo ha esplicitamente additato come «esempio sulla difficile strada dell'evangelizzazione in Sicilia».
Dopo la beatificazione, domenica 26 maggio, Bergoglio ne ha parlato ancora, all'Angelus, invitando i mafiosi (e le mafiose) alla conversione: «Don Puglisi è stato un sacerdote esemplare, dedito specialmente alla pastorale giovanile. Educando i ragazzi secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita e così questa ha cercato di sconfiggerlo uccidendolo. In realtà però è lui che ha vinto, con Cristo risorto».
Sì, davvero Pino Puglisi era un prete che sarebbe piaciuto a Papa Francesco. Ed entrambi a quello Spirito che, dicono, soffia dove vuole. Ma con lungimiranza provvidenziale.
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