L’Istat ci dice che in Sicilia sono stati persi in un anno ancora 84 mila posti di lavoro. Vuol dire che ormai ogni cento abitanti dell’isola in età attiva (15-64 anni) ben venti sono senza un posto. Per quanto riguarda lo spicchio degli under 30 siamo praticamente a uno su due.
Di questi dati quello che stupisce non è tanto il volume del lavoro che non c’è più ma il fatto che ce ne sia ancora. Ci sono ben pochi elementi in Italia che spingono a creare nuova occupazione. L’eccessivo carico fiscale, la debole flessibilità, la considerazione, molto ideologizzata, che definisce con lo spregiativo termine di «precario» qualunque lavoro non coperto da un contratto a tempo indeterminato. Nessuno, però, che abbia voglia di alzare lo sguardo oltre le Alpi. Per esempio in Germania (non in Cina o in qualche altra economia cosiddetta emergente). Ci sono 7,3 milioni di tedeschi (circa il 10% degli occupati) impiegati nei mini-job. Sono lavori da poche ore al giorno pagate 450 euro al mese. Combinati con altri impieghi part time (come accade nella metà dei casi) permettono entrate di qualche dignità. Sono stati pensati per studenti, emigrati, casalinghe o persone prive di formazione professionale che così guadagnano qualcosa. Vennero introdotti dalla giunta rosso-verde di Gerard Schroeder. Chissà che cosa accadrebbe ad un esponente della sinistra italiana se proponesse di introdurli in Italia. Amici e compagni, nella migliore delle ipotesi, si chiederebbero se per caso non gli ha dato di volta il cervello.
In verità in Italia è molto diffusa l’opinione che il lavoro si crea per decreto. È stato così nei Paesi del socialismo reale ma si è visto che non ha funzionato per molto. A meno che non si voglia chiamare «lavoro» la continua immissione nei ruoli dello Stato o degli enti locali di personale di cui non si ha affatto bisogno. Lo hanno fatto anche in Grecia e i risultati (e i migliaia di licenziamenti ora necessari) sono sotto gli occhi di tutti.
In un sistema di mercato il lavoro è creato dalle imprese. Tuttavia bisogna metterle nelle condizioni di svolgere la loro attività nella maniera più efficiente. Cosa che non accade in Italia dove, invece, funziona una doppia verità: nelle dichiarazioni pubbliche politici e sindacalisti si sgolano in solenni affermazioni in favore dello sviluppo. Nella realtà, però giocano altre partite finalizzate, principalmente, alla protezione degli interessi di schieramento o delle clientele. Siccome non siamo anime belle diciamo che è giunto il momento che ciascuno dei protagonisti faccia fino in fondo la sua parte. Il governo nazionale mettendo, finalmente, in campo politiche favorevoli all’occupazione. Vuol dire più flessibilità, meno burocrazia, ma anche un colpo di forbice sugli sprechi e un’accelerazione sui programmi di rimborso ai fornitori. Ma servono comportamenti corretti anche a livello locale.
Per esempio i cantieri di lavoro in Sicilia. Sappiamo bene che si tratta di iniziative di natura assistenziale. Tuttavia, se correttamente utilizzati, possono essere utili per garantire le piccole manutenzioni che servono ai Comuni (anche se i ritardi, di cui parliamo nell'articolo di cronaca in questa stessa pagina, non fanno ben sperare). C’è poi il finanziamento delle zone franche che, per la Regione, dovrebbero essere una priorità per attirare nuovi investimenti privati. Così come il piano di investimenti per il turismo. Per raggiungere gli obiettivi, però, è necessario rendere più efficiente tutta la macchina amministrativa. Quello che prima veniva fatto in due giorni deve ridursi a uno. Le pratiche che prima volevano un giorno vanno sbrigate in due ore. Solo da questo sforzo corale fra pubblico e privato sarà possibile mobilitare risorse e capitali per far ripartire l’occupazione.
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