Gianni Letta continuerà a salire le scale del Quirinale con lo spirito del «civil servant» che lo ha sempre caratterizzato, attento - lui, uomo di Berlusconi - a farsi carico innanzitutto delle ragioni degli altri. Ma è difficile che non senta sulla propria pelle lo schiaffo della mancata nomina a senatore a vita.
Quando morì Sergio Pininfarina, grande industriale che aveva sponsorizzato il centrodestra, dissi a Letta: «Adesso tocca a te». «Vedrai che non accadrà», rispose lui. Aveva ragione. Riccardo Muti (reduce dallo straordinario successo di Salisburgo con l'Opera di Roma) continuerà a parlare dell'Italia con il patriottismo sconosciuto a ogni altro musicista e a pagare ogni centesimo d'imposta nel nostro paese, cosa non troppo diffusa tra i grandi artisti. Ma nemmeno per lui c'è posto in Senato. Muti non vale certo meno di Claudio Abbado, che ha ricevuto meritatamente il laticlavio, ma il capo dello Stato non se l'è sentita evidentemente di metterli sullo stesso piano. Il caso poi che Abbado sia uomo di sinistra fin nel midollo e che Muti sia invece un moderato autorizza qualche amara riflessione. Anche gli altri senatori a vita hanno davvero onorato l'Italia, ma per puro caso - senza coinvolgere la Cattaneo - sia Rubbia che Piano non hanno certo mai votato se non a sinistra. Ancora una volta, dunque, occorre prendere atto che non esisterebbe nessuno che abbia onorato davvero l'Italia e che sia in qualche modo riconducibile all'elettorato moderato. Questo naturalmente non è vero, ma occorre prendere atto che il capo dello Stato la pensa diversamente.
Ciampi fece una scelta diversa: nominò insieme senatori a vita nel 2005 lo stesso Napolitano e Pininfarina, che pur votando la fiducia al governo Prodi nella sua nuova figura bipartisan era certo più vicino al centrodestra tanto da preferire Andreotti a Franco Marini come presidente del Senato. Il Senato diventa ora più squilibrato in un momento delicatissimo e soprattutto c'è un segnale psicologicamente negativo alla vigilia di un 9 settembre tuttora pieno di incognite. Gli iper ottimisti in campo berlusconiano e - perché no? - governativo possono immaginare che un grappolo di senatori a vita di un certo segno renda più libero il capo dello Stato nel concedere la grazia a Berlusconi, ma può trattarsi di semplici fantasie, come è accaduto in passato per altre vicende che hanno riguardato il Cavaliere. Il quale - per dirla tutta - si trova in una bella trappola. Ha avuto un innegabile successo politico con l'abolizione dell'Imu sulla prima casa, anche se il nuovo carico di tasse sui possessori di una seconda casa di famiglia o di vacanza non affittata non metterà certo di buonumore una parte non irrilevante del suo elettorato. In ogni caso, l'Imu non potrà essere lo «sparo di Sarajevo» per aprire una crisi di governo determinata in realtà da altro.
Dunque, se Berlusconi deciderà di far saltare il tavolo, dovrà farlo solo sulla sua condizione giudiziaria personale, che si è ulteriormente aggravata per tre ragioni dopo la pubblicazione della motivazione della condanna. La prima è che questa è uscita con straordinaria rapidità (280 pagine scritte al ritmo di dieci al giorno). La seconda è che la sottoscrizione del tutto inconsueta da parte dell'intero collegio rafforza la posizione del presidente Esposito dopo l'incredibile intervista al «Mattino». La terza è che la motivazione esce a dieci giorni dal 9 settembre e certo questo non favorisce chi a sinistra sta tentando una faticosa mediazione. Berlusconi in trappola, insomma, e le colombe di ogni parte deluse e ferite. Non c'è male come prospettiva...
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