A ventidue anni dalla morte di Libero Grassi, è giusto chiedersi se il suo sacrificio sia servito a qualcosa. A volte, lo scoraggiamento può suggerire una risposta negativa. La mafia è cambiata, ma non sconfitta. Soprattutto non è stata sconfitta quella «cultura della mafia» che ne ha da sempre costituito il malefico brodo di coltura. In Sicilia, a Palermo, l'attenzione al bene comune, il senso della legalità, il rispetto delle più elementari regole della convivenza appaiono mete lontanissime per la maggior parte dei cittadini. Ancora l'amministrazione, salvo rare eccezioni, appare esposta alle disfunzioni determinate da incompetenza o menefreghismo, se non addirittura dalla corruzione. Ancora la politica dà l'impressione di costituire un mondo separato e autoreferenziale, dove le esigenze reali della comunità ricevono assai minore attenzione e hanno meno peso della custodia di privilegi di casta e beghe tra fazioni.
In queste condizioni, che spiegano perché l'Isola, e la nostra città in particolare, veleggino tra le ultime posizioni in tutte le graduatorie, il fiorire della criminalità organizzata è, molto più che causa, effetto di un degrado culturale, prima che economico. È da esso che poi derivano, sul piano dell'economia, le contraddizioni e i colpevoli ritardi di una regione che non ha quasi mai saputo sfruttare adeguatamente le risorse europee e ha finito per sprecare i propri stessi soldi in mille rivoli di clientelismo.
È dunque dalla cultura - dunque dalla mentalità, dalla sensibilità, dagli stili comportamentali -, che bisogna partire, in vista di una trasformazione radicale che per la nostra Isola è questione di vita o di morte. Senza sottovalutare le meritorie iniziative di magistratura e forze dell'ordine, non è con la mera repressione che la battaglia contro la mafia sarà vinta. È indispensabile un immenso sforzo di educazione alle virtù civiche, che prosciughi il bacino in cui essa si rinnova continuamente e si alimenta.
Ma educare non significa soltanto insegnare. Sappiamo tutti quale sottile disagio e quale noia ci prendano riascoltando per l'ennesima volta le formule retoriche di una certa «anti-mafia» ufficiale, a volte declamate da soggetti i cui comportamenti rientrano nella tipologia perversa che sopra abbiamo descritto e che, al di là delle parole, è la migliore alleata della mafia.
E proprio per questo oggi siamo in grado di dire che il sacrificio di Libero Grassi non è stato inutile. Nessuna testimonianza è più indiscutibile e più convincente di quella di chi rischia e dà la sua vita per ciò che ritiene giusto, come ha fatto lui. Nelle sue coraggiose lettere (pubblicate dal Giornale di Sicilia), nelle sue scelte pratiche, nella sua stessa morte, ci sono i germi fecondi di quella educazione ad una cittadinanza responsabile, che deve formare le nuove generazioni. Sulla linea di questa testimonianza sono nate le associazioni che oggi lo ricordano, Addiopizzo e Libero futuro. Su questa linea il Comune ha deciso di dare un contributo da 5.000 a 10.000 euro agli imprenditori che denunzieranno i tentativi di estorsione.
I primi frutti si vedono già da tempo. Ma il fronte della testimonianza deve allargarsi. Ogni cittadino può e deve diventare, con i fatti, prima che con i discorsi, un educatore di altri, più giovani, che hanno bisogno di imparare cosa significa vivere in un mondo degno di esseri umani. La Sicilia a qualcuno è sembrata irredimibile. Dipende da ognuno di noi, da ogni siciliano, smentire questa amara profezia. FONDI@GDS.IT