Chi si aspettava un Cavaliere furioso è servito. Chi sperava in un Cavaliere eversivo è servito anch’egli. Insomma, quelli che avrebbero volentieri sposato la teoria della «guerra civile» (per usare le infelici parole di Sandro Bondi) o della fragorosa spallata al governo (come auspicato da tanti falchi pidiellini, oltre che dalle aree radicali del Pd) saranno rimasti delusi. Perchè il Berlusconi che ieri pomeriggio, sotto il cocente sole romano, è salito sul palchetto di via del Plebiscito per ricambiare l’abbraccio dei sostenitori, è stato un responsabile leader di partito che ha dettato il passo giusto ai suoi: questo governo deve andare avanti. Lo auspicavamo prima delle parole del capo del Pdl, ferito da una sentenza che fatica ad accettare (ma professarsi ancora oggi innocente non può che essere un suo diritto). Lo ribadiamo anche dopo aver ascoltato il suo diktat, che speriamo spenga i pruriti di chi vorrebbe mandare tutto a carte quarantotto, in nome di una disfida politica che sarebbe - essa sì - tanto avventuristica quanto irresponsabile. Perchè se cauti accenni di ripresa della congiuntura economica si intravvedono all’orizzonte, siamo pur sempre di fronte a una frenata della caduta, non certo a una reale ripresa della crescita, per la quale è essenziale l’operato di un governo nel pieno delle sue facoltà, compatto e pronto a marciare con passo deciso in un’unica direzione. Legge elettorale, istituzioni, forma di governo, giustizia, sono i pilastri del pacchetto di riforme che si chiede di portare a compimento a questo esecutivo, nato non a caso proprio sulla necessità di fare corpo unico - ancorchè con anime diverse - in un percorso complesso ma indifferibile. Le parole di Berlusconi segnano la via da seguire. La sua condizione di condannato con sentenza definitiva deve viaggiare su altri binari, che non devono intersecarsi con la strada del governo. Ne va del destino del Paese e della credibilità di istituzioni gravemente segnate e ferite. Ma, che lo dimostrino, non ancora defunte.