A Palermo da alcuni anni, ormai, si assiste ad una affollata competizione a chi fa peggio; da un lato ci sono quelli che cercano un lavoro e, dall'altro, quelli che il lavoro lo dovrebbero offrire (= le imprese). I palermitani disoccupati sono aumentati negli ultimi quattro anni del 54%, ma a preoccupare di più sono le imprese che perdono ogni anno fette consistenti di fatturato. In particolare le imprese di costruzione palermitane, negli ultimi tre anni, hanno visto il fatturato ridursi del 46%, quelle commerciali del 52%, le turistiche del 55% ed, addirittura, quelle agricole del 57%! Con questi numeri, ci sarebbe da credere che la moria di imprese abbia raggiunto soglie altissime ed invece, con un apparente colpo di reni, le imprese siciliane sono diminuite negli ultimi tre anni di appena lo 0,8%, mentre a Palermo sono addirittura aumentate. Ma come, viene da chiedersi, a Palermo lavora soltanto il 39% della popolazione ed il 41% in Sicilia rispetto al 57% della media italiana e continuiamo, tuttavia, a fare impresa? Spiegare l'arcano è abbastanza semplice.
Palermo e la Sicilia tutta subiscono ormai da molti anni un grave fenomeno erosivo; riguarda le imprese agricole, quelle manifatturiere e quelle delle costruzioni. Gli addetti ai lavori definiscono questo fenomeno deindustrializzazione e ad esso accompagnano una altro brutto neologismo: terziarizzazione. Un termine questo, apparentemente innocuo, che vuole sottolineare la progressiva trasformazione del tessuto produttivo in attività di servizi, il cosiddetto terziario. Ora, non è di per se un male che nascano nuove imprese di servizi; è un male invece che stiamo perdendo le strutture portanti della nostra economia produttiva. Possiamo anche accettare che compriamo all'estero o in altre regioni italiane milioni di pezzi di iphone o di ipad, ma certo non possiamo comprare fuori Sicilia grano duro, calzature, capi d'abbigliamento, mobili, frutta, pasta alimentare, prodotti da forno e bibite di ogni tipo, compresa l'acqua minerale! Eppure è quello che sta succedendo, sotto lo sguardo distratto di chi ci ha amministrato negli ultimi anni e che ci sta procurando l'ennesimo sfregio; parliamo della mancata spesa dei fondi europei che, a palate, giacciono inutilizzati nei cassetti della pubblica amministrazione. Per chi invece pratica l'esercizio dell'ottimismo, vedendo comunque il bicchiere sempre mezzo pieno, possiamo ricordare che ci sono alcune tipologie di aziende in aumento; sono le agenzie di viaggio ed i servizi di noleggio, ma anche i servizi di informazione, le attività sportive e ricreative, oltre che i servizi socio-assistenziali e sanitari. Purtroppo, così facendo stiamo dando vita ad una economia particolarmente fragile, che vede nascere (e morire con rapidità) migliaia di attività economiche ed affacciarsi un nuovo protagonista; sono le partite Iva. Che cosa si nasconda dietro questo vero e proprio boom è facile capirlo. Anche in questo caso prendiamo a prestito un termine da addetti ai lavori, che parlano di autoimpiego. Detto più brutalmente, in mancanza d'altro, la gente (specie i giovani) avvia un'attività economica. Con quali soldi, con quali competenze e con quale spessore imprenditoriale è facile immaginarlo!
E non sorprende che le «nuove» attività professionali risultino in numero doppio delle imprese della ristorazione; come dire che aprono più studi legali che bar. Né stupisce che ci sia una fetta consistente (11%) di partite Iva con un solo «cliente». Sono quei fenomeni detti di monocommittenza, che celano in realtà un rapporto di lavoro dipendente camuffato da prestazione professionale. Siamo in sostanza davanti ad un processo evidente di ipertrofia del terziario che, nella maggior parte dei casi, nasconde attività marginali. Avventurarsi nella massa cospicua di informazioni dell’«Osservatorio Economico» non lascia molto spazio all'ottimismo e tuttavia questo appuntamento ricorrente - che si deve alla costanza della Camera di Commercio di Palermo con la collaborazione dell'Istituto Tagliacarne - rappresenta ogni anno un momento di utile riflessione, anche se poi la macchina pubblica continua imperterrita nel suo percorso parallelo rispetto all'economia reale. Particolarmente curata risulta nell'edizione dell'Osservatorio di quest'anno la parte per così dire propositiva, con ampi richiami, tra l'altro, al migliore e più veloce impiego dei fondi europei ed al prossimo avvio delle zone franche; temi questi considerati una irrinunciabile occasione di sviluppo per le attività produttive. In particolare nel turismo e nei beni culturali il rapporto della Camera di Commercio di Palermo individua un'occasione interessante per l'intrapresa economica, muovendo dalla considerazione che esiste uno spazio ancora grande per nuove iniziative. Infatti «l'industria della cultura» si intesta appena il 3% della ricchezza prodotta a Palermo (ed ancora meno in Sicilia), mentre nella media del nostro Paese si attesta al 5%, quasi il doppio della nostra regione, che certo vanta un patrimonio culturale ed un capitale umano di tutto rispetto. Considerazioni analoghe valgono per il turismo, anche per effetto di trascinamento di una efficiente industria culturale.
Ma la vera sorpresa è un'altra. È la green economy la nostra vera arma segreta; si tratta di quelle attività imprenditoriali che coniugano il normale processo economico-produttivo con la massima ricerca del rispetto ambientale. Una volta tanto, però, non si tratta di attività limitate a qualche aggressivo Paese orientale o a qualche evoluta repubblica baltica; anche Palermo, infatti, può dire la sua. Oltre 5 mila imprese palermitane hanno investito, negli ultimi tre anni, in tecnologie "green"; con un rilevante impatto occupazionale (il 35,5% del totale delle assunzioni previste nella provincia)! Che il nostro futuro sia «verde»? Sarebbe per molti versi una gran bella notizia.
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