I temi economici, il mercato del lavoro, l'Imu, l'Iva, la riforma elettorale, e adesso anche lo stallo sull'elezione del vicepresidente della Camera. Sono tante le questioni che in queste ore infiammano la strana maggioranza che sostiene il governo Letta. Nel difficile dialogo tra centrodestra e centrosinistra c'è anche spazio per il complesso capitolo sulle riforme costituzionali che il Parlamento dovrà scrivere. Tra i temi più delicati quello del Presidenzialismo. Il dilemma è: l'Italia sarebbe pronta per questa forma di governo? L'ex presidente della Camera Luciano Violante, docente di Diritto pubblico chiamato dall'Esecutivo a suggerire modifiche alla Costituzione insieme ad altri 34 saggi, è assai scettico, «prima che sul merito della riforma, sulla sua realizzabilità. È chiaro - sottolinea l'esponente del Pd - che Presidenzialismo e semipresidenzialismo sono regimi democratici, che hanno pari dignità del parlamentarismo e per i quali è legittimo battersi, ma per essere introdotti nel nostro Paese necessiterebbero di un lungo e complicato processo riformatore, che le condizioni politiche attuali non permettono».
COSA BISOGNEREBBE MODIFICARE?
«Innanzitutto la seconda parte della Costituzione, per intero. Poi ci vorrebbero una decina di leggi di sostegno, come una nuova disciplina sui mezzi di comunicazione pubblici, una seria normativa sul conflitto d'interessi e sul finanziamento delle campagne elettorali, e tanto altro ancora».
QUANTO AL MERITO DELLA QUESTIONE?
«Bisognerebbe innanzitutto capire su quale modello si discute, perché esistono diversi tipi di Presidenzialismo (c'è quello statunitense, quello argentino, quello cileno) e di semipresidenzialismo (c'è il sistema francese, ma anche il rumeno). Detto questo, non metto in dubbio il fascino di una forma di governo che permette ai cittadini di scegliere direttamente il presidente della Repubblica, ma è di questo che l'Italia ha davvero bisogno? Piuttosto, credo che al Paese servirebbe, semplicemente, una platea più ampia per eleggere il capo dello Stato, rispetto a quella consentita oggi dalla Costituzione. Una platea in cui possano entrare non solo i parlamentari e i rappresentanti delle regioni, ma anche, in qualche modo, una rappresentanza di cittadini comuni. Bisognerebbe dunque studiare una soluzione per allargare i cosiddetti grandi elettori, e magari permettere il ballottaggio tra due candidati alla presidenza, nel caso in cui si andasse oltre la terza votazione, evitando così di bloccare il Parlamento per giorni. Parallelamente, bisognerebbe rafforzare i poteri del premier, garantendogli ad esempio la possibilità di nominare e revocare i ministri, o di sciogliere le Camere. Percorrendo queste due strade, ampliando l'elettorato del capo dello Stato, e conferendo più forza al premier, adotteremmo due istanze che il Presidenzialismo sicuramente ha, ma che non sempre risolve».
IN CHE SENSO?
«Basti pensare agli Stati Uniti, dove le decisioni di Obama sono spesso bloccate dalla Camera dei Rappresentati, o alla Francia, dove Hollande è in grave difficoltà con l'Assemblea nazionale. Si tratta di sistemi in cui, ogni qual volta il presidente si ritrova un ramo del Parlamento dove prevale uno schieramento politico avverso, le decisioni vengono sistematicamente imballate. Lungi dall'essere un modello di governo più rapido, il Presidenzialismo può quindi incartarsi su se stesso, a differenza del sistema parlamentare, che quando è ben costruito (purtroppo non è il caso dell'Italia) ha una continuità tra premier e maggioranza parlamentare che garantisce governabilità».
EPPURE, È PROPRIO SULLA GOVERNABILITÀ CHE IL PDL INSISTE QUANDO INVOCA IL PRESIDENZIALISMO…
«Il centrodestra forse ha un po' mitizzato questa forma di governo. Cosa succederebbe in una Italia semipresidenzialista se la Camera avesse una maggioranza diversa da quella che sostiene il capo dello Stato? Immaginiamo il caso di una coabitazione tra una premier di centrodestra e un presidente della Repubblica di centrosinistra: ci sarebbe governabilità? Penso proprio di no. Per rendersi conto che stabilità e Presidenzialismo o semipresidenzialismo non coincidono strutturalmente, basterebbe già leggere i testi dei costituzionalisti francesi o americani, che portano una gran quantità di critiche nei confronti dei rispettivi sistemi di governo. Critiche che non ritrovo, invece, negli studiosi di diritto spagnoli o tedeschi che hanno modelli parlamentari simili al nostro. In Italia siamo in una fase in cui, per la debolezza dei partiti e la difficoltà di rispondere ai cittadini, la politica è alla spasmodica ricerca del rinnovamento. Ma non sempre il nuovo è sinonimo di miglioramento».
TRA TUTTE LE POSSIBILI RIFORME COSTITUZIONALI QUALE SAREBBE OGGI LA PIÙ URGENTE PER IL NOSTRO PAESE?
«Dal punto di vista economico, la riforma del Titolo V. Oggi le imprese sono bloccate dai conflitti tra comuni, regioni, province e Stato, da una gran confusione normativa e da ciò che definisco policentrismo anarchico, cioè dalla coesistenza di tanti centri sconnessi l'uno dall'altro. Per lo sviluppo del Paese sarebbe necessaria una semplificazione della burocrazia, delle regole. Poi, sul piano della struttura costituzionale, come ho detto, sarebbe essenziale conferire più poteri al capo dell'Esecutivo».
AL SUO INSEDIAMENTO IL PREMIER LETTA SI È DATO 18 MESI DI TEMPO PER LA REVISIONE DELLA CARTA. MISSIONE POSSIBILE PER UN GOVERNO FORMATO DA AVVERSARI-ALLEATI?
«È chiaro che per questo tipo di riforme serve la massima intesa. Certamente ci sono delle difficoltà di dialogo tra centrodestra e centrosinistra, forze che si sono combattute per anni e non possono scambiarsi oggi confetti e fiori, ma non vedo grandi problemi all'orizzonte: si tratta difficoltà che i governi in Italia hanno sempre avuto. Siamo abituati a questo. Come ha detto giustamente il presidente Napolitano, sembra che in questo Paese, appena si forma un governo, si scommette già su quando cadrà».
IL CAPO DELLO STATO HA SPRONATO PIÙ VOLTE I PARTITI PER ARRIVARE AD UNA NUOVA LEGGE ELETTORALE. MA IL PORCELLUM VA MODIFICATO PRIMA O DOPO AVER CAMBIATO LA COSTITUZIONE?
«La legge va rivista indipendentemente dalla riforma della Carta, perché se la revisione costituzionale fallisce e si torna alle urne, non si può andare a votare con il cosiddetto Porcellum. E su questo, almeno a parole, mi sembra che i partiti di maggioranza siano tutti d'accordo. Se poi il processo di riforma costituzionale andrà in porto, e se si arriverà ad un'altra forma di governo, allora rifaremo un'altra legge. E per migliorare l'attuale sistema elettorale basterebbero anche alcuni aggiustamenti. Per esempio, potremmo adottare il sistema dei collegi, come per le vecchie elezioni provinciali, oppure, per garantire governabilità, si potrebbe andare al ballottaggio nel caso in cui Senato e Camera raggiungano maggioranze diverse: a chi vince la maggioranza assoluta in tutte e due le Aule».
Violante: Costituzione da cambiare, il premier deve avere più poteri
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