La richiesta avanzata dal procuratore generale della Cassazione di un «lieve» sconto sugli oltre 560 milioni già restituiti a Carlo De Benedetti per il Lodo Mondadori è un piccolo refolo di frescura per il Cavaliere dopo le vampe infernali di lunedì. Sul capo dello Stato Silvio Berlusconi ha riversato mercoledì sera anche tutti gli umori della pancia, trovando orecchie privatamente attente: non è un segreto di quanto siano forti le riserve di Napolitano sulle derive giustizialiste: una pena più alta di quella - fortissima - richiesta dal pubblico ministero, 33 testimoni della difesa minacciati di un maxiprocesso parallelo, il bando perpetuo dagli uffici pubblici… Ma se un incontro riservato è diventato pubblico per iniziativa del Quirinale e s'è concluso con una formale rassicurazione del Cavaliere sul destino del governo, alla fine ha prevalso la freddezza razionale. Al di là delle dichiarazioni muscolari, il Popolo della Libertà non ha alternative a quella di sostenere Enrico Letta. Napolitano ha fatto sapere che una spallata porterebbe a una maggioranza diversa, incaricata della sola riforma, rapidissima, della legge elettorale. E col ritorno al Mattarellum il PdL non guadagnerebbe verosimilmente la maggioranza dei collegi. Si aggiunga che lo stesso Guglielmo Epifani s'impegna per garantire al governo la vita di un biennio. È vero che c'è l'incognita Renzi, ma questo aspetto è fuori della portata di Berlusconi. Dunque, si vada avanti. Ma come? L'altra sera a «Porta a porta» Angelino Alfano ha tirato fuori gli otto punti del programma elettorale del Cavaliere facendo rilevare che - a parte la riforma della giustizia, ormai possibile solo attraverso il successo dei referendum radicali, anche se ieri il PdL ha chiesto di metterla nella revisione costituzionale per onore di bandiera - tutto sta andando secondo le migliori aspettative. Ci siamo impegnati a togliere l'Imu sulla prima casa, a non aumentare l'Iva, a favorire il lavoro giovanile e finora ci siamo riusciti, è il senso del suo discorso. Giusto, ma quanto potrà durare la politica del rinvio e delle pezze che - anche se non sono peggiori del buco, come gridano alcuni settori del centrodestra - non sono certo un modello di eleganza? Se davvero - ha assicurato il vicepresidente del Consiglio - è del tutto escluso che a dicembre gli italiani paghino l'Imu sulla prima casa, dove si troveranno i quattro miliardi necessari, visto che per racimolarne uno per il semplice rinvio di tre mesi dell'aumento dell'Iva si è dovuti ricorrere allo sgraziatissimo aumento degli acconti di fine anno, equivalenti a un prestito infruttifero di sei mesi del cittadino allo Stato? Al di là dello scetticismo di alcuni tecnici, che non prevedono assunzioni giovanili superiori a quelle che comunque sarebbero avvenute, bisogna dare atto che il miliardo e mezzo stanziato in favore dell'occupazione è un buon inizio, come lo sono le facilitazioni normative vietate dalla legge Fornero. Ma anche qui se vuole fare un grande salto in avanti, da un lato Letta dovrà ottenere buoni risultati nei vertici internazionali che si concludono oggi a Bruxelles e in quello della settimana prossima dedicato esclusivamente al lavoro. Dall'altro dovrà dimostrare una seria capacità di leadership tagliando almeno di un due per cento quei quattrocento miliardi che sono la metà della spesa pubblica, incomprimibile per l'altra metà. È tornato a chiederlo ieri anche il presidente della Corte dei conti. Il sindaco Pdl di Assago che ha tolto ai propri cittadini l'Imu sulla prima casa è riuscito a fare i tagli necessari per trovare i soldi. Perché il governo nazionale non può farlo?