«Il lavoro è sicuramente la priorità»; da mesi lo ripetono economisti, politici, uomini di governo, sindacalisti, commentatori, istituzioni europee; lo ha ribadito qualche giorno fa anche il presidente della Cei, il Cardinale Bagnasco. L'ennesima sottolineatura arriva adesso dal rapporto annuale sull'economia siciliana, redatto dalla sede di Palermo della Banca d'Italia; il rapporto, presentato ieri a Palermo presso la sede della Libera Università della Politica, traccia un quadro, a dir poco inquietante, delle difficoltà nelle quali si dibatte la nostra regione dopo anni di crisi ininterrotta. Il numero degli occupati in Sicilia è in continua flessione, ormai da sei anni; gli occupati ufficiali si sono ridotti ad appena un milione e 394 mila. Il punto più basso da molto tempo a questa parte.
Da sette anni consecutivi l'edilizia, uno dei pilastri della nostra economia, è in arretramento. Le compravendite di immobili dal 2005 ad oggi risultano dimezzate; soltanto nell'ultimo anno i mutui per l'acquisto di abitazioni sono crollati del 54%, mentre il valore delle opere pubbliche messe in gara si è ridotto del 17%.
È facile immaginare quali effetti devastanti abbia generato questa crisi su banche, intermediari immobiliari, studi notarili o sui professionisti interessati a vario titolo al mercato delle costruzioni, oltre ovviamente che sulle imprese stesse di costruzione. Anche le manifatturiere hanno accusato il colpo, vedendo ridurre il proprio fatturato del 20% in quattro anni.
Tutta la gamma dei consumi privati risulta in caduta, specie nei beni durevoli; il numero delle autovetture immatricolate, ad esempio, si è ridotto nell'ultimo anno di oltre il 30% (dieci punti in più della media italiana) ed i siciliani hanno iniziato così una corsa all'usato. Eppure curiosamente, malgrado la tempesta, le famiglie siciliane continuano a presentare un livello di indebitamento molto basso. Addirittura negli ultimi cinque anni i siciliani, che hanno avuto necessità di indebitarsi per mutui, prestiti o credito al consumo, sono ulteriormente diminuiti ed oggi si attestano al 20% del totale. Nella media italiana le famiglie con debiti hanno superato il 27% del totale; sarebbe interessante approfondire i perché di questo fenomeno.
Il rapporto della Banca d'Italia fornisce la consueta, ampia rassegna di numeri ed informazioni. Tra i tanti fenomeni messi in luce, ci sembra meritevole di una particolare attenzione, per il nostro futuro, il focus sulle principali industrie siciliane tra il 2007 ed il 2011. Mentre la spesa del settore pubblico è ormai in caduta libera, soltanto le imprese private possono alimentare, infatti, una prospettiva reale di ripresa e di lavoro. Vediamole quindi queste imprese che, per volumi di fatturato ed occupazione, rappresentano sicuramente la punta di diamante della nostra economia. I tecnici della Banca d'Italia hanno selezionato un campione di 50 industrie che nel 2007 fatturavano circa 2,2 miliardi di euro; si trattava quasi di un terzo dell'intero fatturato siciliano degli stessi comparti. Le imprese del campione davano lavoro a circa otto mila persone.
Precisiamo subito che da questo gruppo sono escluse le imprese petrolifere e quelle a controllo pubblico; si tratta prevalentemente di industrie dei comparti, alimentare e metallurgico.
Il confronto ha riguardato, come già detto, il periodo 2007-2011 ed evidenzia intanto la chiusura di otto imprese su cinquanta; come dire che il 16% delle nostre migliori industrie non ci sono più. La maggiore vitalità delle industrie facenti parte del campione (parliamo delle 42 sopravvissute) è confermata comunque da una crescita del fatturato una volta e mezzo superiore a quello delle altre imprese siciliane che operano negli stessi comparti.
È interessante sottolineare che il maggiore contributo alla crescita è arrivato dalle industrie alimentari, un comparto questo cui la Sicilia ha prestato sempre scarsa attenzione, nonostante alle sue spalle sia attivo il sistema agricolo (quello siciliano) più imponente d'Italia. Va segnalato poi che prima della crisi, nessuna delle industrie selezionate aveva problemi ad onorare i propri debiti con il sistema bancario; dopo cinque anni anche le migliori realtà invece hanno cominciato a traballare ed oggi oltre il 7% dei prestiti ricevuti risulta a rischio di restituzione. Certo non è moltissimo, specie se considera che il resto delle imprese siciliane ha superato il 16% di «sofferenze» sui crediti bancari, ma denota comunque una situazione in progressivo deterioramento. Opportunamente il rapporto della Banca d'Italia tratta separatamente le industrie petrolifere. Cominciamo con il dire che in Sicilia viene prodotto il 37% della benzina ed il 39% del gasolio consumati in Italia; si tratta di un valore imponente, che trova conferma nel dato delle esportazioni siciliane che, per i tre quarti, è rappresentato appunto dall'export petrolifero, con un valore di circa otto miliardi di euro. Nonostante questi numeri, l'intero settore petrolifero (estrazione, raffinazione e vendita) dà lavoro in Sicilia ad appena 3.600 addetti, cui si aggiungono 6.500 unità nell'indotto dei servizi. I lavoratori dell'industria petrolifera siciliana, tutti considerati, diretti ed indiretti, rappresentano quindi lo 0,7% degli occupati ufficiali della Sicilia. Neanche l'apporto fiscale dell'industria petrolifera risulta all'altezza dei numeri prima indicati: tra royalty sulle estrazioni ed imposte varie, le casse regionali hanno introitato nell'anno poco meno di 167 milioni di euro; a questi vanno aggiunte le accise sulla trasformazione, che sono però di competenza esclusiva dello Stato e che valgono alcuni miliardi di euro.
In definitiva il rapporto della Banca d'Italia descrive un quadro in profondo deterioramento, con la finanza pubblica in ritirata per la riduzione dei trasferimenti statali, con una congenita incapacità ad utilizzare i fondi europei e con la «sorpresa» di una sparuta pattuglia di industrie che, in spregio ad ogni ostacolo, continua comunque a macinare lavoro e fatturato. Guarda caso proprio nell'alimentare.
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