È accaduto quanto si temeva: il vero vincitore del voto amministrativo di ieri e domenica è l’elettore ignoto. Quello cioè che non si reca alle urne intendendo, così, manifestare il proprio dissenso verso l’attuale sistema dei partiti. Un appello cui, però, le segreterie paiono restare sorde. Eppure i segnali premonitori non erano mancati.
Alle politiche di febbraio e più tardi al primo turno delle amministrative. Non c’è stata risposta e non deve stupire se la frequentazione dei seggi diventa ogni volta più esigua. La nomenklatura preferisce nascondersi dietro alibi a buon mercato. Per esempio ricordando che, in altri Paesi a democrazia avanzata, il tasso di astensioni è maggiore che in Italia. Una mezza verità che non tiene conto di alcuni elementi fondamentali: quando la passione politica era davvero forte e la fiducia nei partiti assai elevata le percentuali di partecipazione al voto raggiungevano vette da record mondiale. Il fatto che ora siano crollate testimonia che, insieme alla caduta delle ideologie, è salita la sfiducia che circonda la classe politica. La sua incapacità di trovare un’adeguata risposta alla sfida della crisi economica.
I due grandi partiti escono da questa tornata avendo ricevuto, dagli elettori, messaggi discordanti. Il Pd registra una netta vittoria. Assolutamente inattesa alla vigilia. Vince tutto quello che c’era da vincere e questo, sicuramente, servirà a rafforzare il governo. Una buona notizia perché contribuirà a sopire i grandi mal di pancia che circolavano nelle profondità del partito per l’alleanza con Berlusconi, il nemico numero uno degli ultimi vent’anni. Il partito dimostra di avere un radicamento territoriale molto forte ed un apparato locale ancora robusto. Antica eredità delle vecchie sezioni del Pci e anche della Democrazia cristiana.
Il Pdl invece è andato male. I sondaggi lo mettono in testa alle preferenze degli italiani. Alla prova del voto, però, è uscito a pezzi. Il risultato conferma che, senza il traino del Cavaliere, il centro-destra non decolla. Come mai? Le spiegazioni sono molteplici. Certamente la scarsa capacità di penetrazione sul territorio. La dirigenza del partito è totalmente concentrata sulla dimensione nazionale e si occupa fin troppo distrattamente della società locale.
Ora tutti gli occhi sono puntati sul futuro del governo. Dobbiamo sperare che il voto non sia l’occasione per regolamenti di conti il cui prezzo sarebbe pagato dal governo. Sarebbe il segnale peggiore: gli egoismi dei singoli schieramenti che prevalgono sull’interesse generale. Gli italiani con il loro voto, e soprattutto con le loro astensioni, hanno lanciato un messaggio chiaro: vogliono un’azione di governo efficace che dia risposte immediate e, soprattutto, adeguate. Poi ci sarà tempo per un’altra tornata elettorale. FONDI@GDS.IT