La manifestazione organizzata ieri dagli edili siciliani davanti a Palazzo d'Orleans ha dato vita all'ennesima protesta nei luoghi del potere siciliano. La ristretta porzione di territorio palermitano compresa tra palazzo d'Orleans e palazzo dei Normanni è diventata ormai la meta d'elezione dove portare a maturazione tutti i malanni - e sono tanti - che affliggono l'Isola. Ma se fino a qualche anno fa l'appuntamento fisso era con la legge di bilancio regionale, che rappresentava l'occasione nella quale si dava puntualmente corpo alle aspettative di tanti precari e dipendenti pubblici, oggi le occasioni della protesta risultano sempre più numerose, differenziate e ravvicinate. È l'immagine plastica di una linea politica, ormai pluridecennale, che affida esclusivamente al «sussidio» la improbabile soluzione di tutti i nostri mali. E proprio mentre sindacati e lavoratori edili della Sicilia gridavano il loro malcontento, nello stesso momento nelle ovattate sale della Banca d'Italia, il Governatore Visco condannava duramente le politiche pubbliche fondate soltanto sul «sussidio», invocando reali manovre di promozione dello sviluppo a sostegno del lavoro buono.
Sono momenti come questi che esasperano il divario, che appare ormai incolmabile, tra la Sicilia «speciale» ed il Paese ordinario. Per mesi Palermo è rimasta in balìa della vicenda Gesip; per mesi i palermitani hanno seguito l'affannosa ricerca di una soluzione che solo in pochi considerano soddisfacente. Ma bisognava davvero arrivare al 2 maggio, primo giorno di «stipendio» per circa 2 mila dipendenti della Gesip, per scoprire che nessuno tra i nove mila dipendenti del Comune si era ricordato che gli operai erano privi di scarpe e tute? E, per analogia, occorre che il calendario segni la fine di giugno per ricordarci che alcune decine di migliaia di precari dei Comuni siciliani affideranno alla protesta più dura la proroga che il governo nazionale ha riconosciuto loro fino al prossimo dicembre? E poi? Poi ci guardiamo smarriti per i contraccolpi di una crisi, in particolare quella per l'edilizia siciliana, che in appena cinque anni ha visto precipitare la costruzione di nuove abitazioni da circa 7 milioni di metri cubi a poco meno di 4 milioni! O che ha visto perdersi almeno 40 mila posti di lavoro. Tra il 2007 ed il 2011 gli effetti della crisi in edilizia hanno portato il comparto delle costruzioni a perdere quasi il 20% del suo valore, annullando la crescita registrata dal 2000 al 2007. Ma se l'anno scorso il Centro-Nord ha perso un po' meno del 3%, la Sicilia ha perso il 6%. E dire che svariati miliardi di euro restano nei cassetti in attesa che qualcuno si decida a mobilitarli; ma nessuno muove un dito: i Comuni perché troppo piccoli e spesso incapaci di gestire la complessa procedura di spesa europea e la Regione troppo grande per muoversi con agilità.
Pensare all'edilizia siciliana e pensare alla spesa pubblica può sembrare una cosa sola. Ma è proprio questo il cuore del problema. Opere pubbliche, abitazioni civili ed immobili commerciali sono tre facce dello stesso problema. Se le imprese vivono una fase regressiva senza precedenti, lo stesso non si può dire delle opere pubbliche piccole e grandi. I bisogni da soddisfare sono enormi, come enormi sono le risorse disponibili e neanche impegnate. Nessuna regione come la Sicilia, infatti, ha tanti immobili scolastici in affitto e nessuna regione soffre la stessa inadeguatezza dei plessi scolastici. La situazione di strade ed autostrade non richiede molti commenti. Come ha potuto la Palermo-Messina ridursi alla stregua di un'arteria lenta ed insicura, nella quale dossi, improvvisi avvallamenti, gallerie poco o addirittura non illuminate attentano continuamente alla sicurezza dei trasporti? Per tacere dei tempi di trasferimento di uomini e merci. La rete ferroviaria è ancora ottocentesca ed i sistemi idrici e fognari restano complessivamente inadeguati. Insomma combinando domanda di infrastrutture e fondi europei si potrebbero dare molte e buone risposte alla mobilità generale ed all'intera economia, grazie ai benefici che potrebbe generare il comparto delle costruzioni.
Diversa è la situazione del mercato di civile abitazione, dove stanno intervenendo cambiamenti radicali che potrebbero trovare sponde adeguate nell'intervento pubblico. L'andamento dell'edilizia residenziale è la risultante di tanti e complessi fenomeni, cui neanche noi siciliani siamo estranei. Una recente, pregevole indagine del Censis apre al lettore orizzonti di cambiamento profondo, che dovrebbero rappresentare la bussola per chi amministra il territorio. La Sicilia dopo essersi misurata per decenni con le forme più spinte di programmazione, sembra avere definitivamente abdicato alla gestione ragionata del futuro. E invece la domanda di cambiamento richiede proprio chiarezza di visione e capacità di scelte. In Italia si formano più di 300 mila nuovi nuclei familiari all'anno soltanto per matrimoni e separazioni. A questi vanno aggiunte le libere unioni ed i single che scelgono di vivere da soli. Il risultato è sorprendente. Negli ultimi cinque anni i nuclei familiari italiani sono aumentati da 23 milioni a quasi 25 milioni. In teoria una domanda di due milioni di nuove abitazioni! Per grandi numeri ci sono 9 milioni di coppie con figli, otto milioni di single tra giovani ed anziani, 5 milioni di coppie senza figli e circa 3 milioni di famiglie con un solo genitore. Più al Nord che al Sud pesa poi il fenomeno dell'immigrazione. Dieci anni fa sfioravano il milione oggi sono 5 milioni. Almeno 2,5 milioni di famiglie vivono in condizioni di disagio abitativo. Sempre più numerosi risultano gli anziani che occupano da single abitazioni di grande o grandissima dimensione. Sempre più numerose sono le richieste di riqualificazione di un patrimonio abitativo mediamente troppo vecchio ed inadeguato, rispetto alla domanda. Prima della fine del decennio gli italiani saranno tre milioni in più, ma il Mezzogiorno perderà un milione di abitanti. L'impatto soltanto sulla richiesta di abitazioni è impressionante.
In Sicilia dopo l'inurbamento di migliaia di abitanti dalle campagne verso le città, viviamo oggi un fenomeno del tutto nuovo, con una sorta di fuga dalle città ai comuni di prima e seconda fascia. Si pensi a Palermo ed ai vicini Comuni di Bagheria, Carini o Isola delle Femmine. Ma quali misure sono state approntate per fronteggiare la massiccia entrata (ed uscita) quotidiana di uomini e mezzi in una città come Palermo? Chi ha pensato all'impatto ed al costo di decine di migliaia di persone che ogni giorno arrivano nella città di Palermo o di Catania, ai costi dell'ingolfamento del traffico, ai problemi sociali dei Comuni dormitorio, al costo di tanti pendolari che però pagano le tasse in altri comuni? Domande alle quali la gestione del territorio, la programmazione degli interventi e la individuazione delle priorità di intervento potrebbero dare risposte ed occasioni importanti di investimento ed occupazione. Insomma dire crisi delle costruzioni è facile, dire che mancano i soldi è falso, dire che si può fare molto e subito è assolutamente vero.
Caricamento commenti
Commenta la notizia