Non conoscevo Gabriele Scalia, lo studente del Cannizzaro volato in cielo ieri a Palermo. Ma conosco certamente la sua storia. Scrive Luigi Ansaloni sul Giornale di Sicilia: “Gli piaceva il calcio, gli piacevano soprattutto le moto, stare in compagnia con gli amici”. E come valore aggiunto “era pure uno studente modello”. Perché è successo proprio a lui? Avranno detto subito i genitori, i suoi compagni, i suoi amici nella disperazione determinata da un evento che a tanti è capitato di vivere. Ovviamente non ci sono risposte. Inutile cercarle nell’ipotetico comportamento scorretto di Gabriele o dell’automobilista con cui si è scontrato, l’unica verità è che lui non c’è più e sapere come è andata serve solo a rendere più complesso il progetto di metabolizzazione di questo grande, immenso dolore. E’ capitato perché è capitato: non ci sono responsabili. Direbbe don Enzo Volpe, come in occasione dell’addio alla mia Livietta: “Per fede sappiamo che non puo’ finire tutto qui. Questa vita Gabriele l’ha vissuta intensamente, sorretta dall’esempio di tanti, della sua famiglia innanzitutto. Un segmento di infinito. Non bisogna essere grandi uomini di Chiesa – aggiungerebbe – per fare entrare questo mistero nella nostra vita, un mistero grande che ci sorpassa, ma solo se lo viviamo in questa terra possiamo essere uomini di futuro e di speranza”. Passerà del tempo per comprendere una frase così bella, ma sono certo che anche i genitori di Gabriele e tutti quelli che gli hanno voluto bene ci riusciranno.