Berlusconi ha deciso di fare come il vecchio Pci, che si dichiarava partito di lotta e di governo. Forse un accostamento che non lusingherà il capo del Pdl, che dell'anti-comunismo ha fatto la sua bandiera politica. Resta che, con la manifestazione di ieri a Brescia, ha deciso di intraprendere proprio questa strada. Con un cappello si dichiara fedele sostenitore del governo. Con un altro, invece, sceglie la piazza. Una via parallela percorsa anche in maniera altamente simbolica. Non a caso si è presentato sul palco assieme ad Angelino Alfano che è, non solo vice presidente del Consiglio ma anche ministro degli Interni e, come tale, garante dell'ordine pubblico. Ieri, invece, qualche disordine in piazza c'è stato provocato da manifestanti con chiari metodi fascisti.
C'è da chiedersi se questa politica del doppio binario è utile al Paese. Perché è difficile conciliare spinte opposte: da una parte il Cavaliere che indossa il doppiopetto dell'uomo di Stato che, responsabilmente, lavora per la pacificazione nazionale. Dall'altro il capo-popolo che arringa la folla contro i giudici. Una guerra di nervi che può provocare effetti collaterali sulla salute del governo. Tanto più che non c'è alcuna garanzia che il richiamo identitario al popolo di centro-destra possa fare colpo sui giudici.
Non è trascurabile che il presidente Napolitano non perda occasione per invitare i partiti ad abbassare i toni per non destabilizzare il Paese. Un invito alla prudenza che andrebbe raccolto con maggior convinzione visto che questo governo non ha alternative. O meglio un'alternativa ce l'ha ed è il baratro di una crisi istituzionale che porterebbe il Paese nell'abisso.
Per Berlusconi non esiste un salvacondotto politico che lo metta al riparo dalla magistratura. Né sarà certo la piazza a fornirglielo. Anzi. Questioni cruciali come la giustizia e la sua riforma, esigenze largamente diffuse come quella di un equilibrio migliore tra la politica e i giudici, costituiscono punti che meglio possono essere affrontati nel quadro delle riforme possibili che un governo di larga intesa potrebbe sostenere e promuovere. In questo contesto, come è noto, riserve sul funzionamento della giustizia sono state espresse dal capo dello Stato che ha richiamato politici e magistrati, gli uni e gli altri, non solo gli uni e non solo gli altri, a svolgere i ruoli propri e a non attribuirsi missioni improprie.
L'invito ad abbandonare ogni doppiezza vale anche per il Pd che fatica a tenere bassa l'asticella dello scontento fra i suoi sostenitori. Ieri ha nominato il suo nuovo segretario il cui compito sarà quello di portare il partito all'appuntamento con il congresso. È significativa la scelta di Guglielmo Epifani che, essendo di formazione socialista, non incarna nessuna delle due anime che compongono il Pd. Non è un erede del vecchio Pci e nemmeno dell'ala sinistra della Dc. Casomai di una cultura laica e libertaria che, purtroppo, in Italia, non ha mai trovato grande possibilità di espressione. Perché il Paese, in questo momento, non ha bisogno di estremismi né di contrapposizioni. Servono solo scelte condivise. Centrodestra e centrosinistra sono impegnati in un governo che ciascuno ritiene senza alternativa. Se è così, si sappia che non ci sono alternative a un sostegno pieno che non può conoscere né scantonamenti nella piazza, né ambiguità o tiepidezze. Il Paese ha bisogno di governi certi, strategie chiare e obiettivi visibili. Ognuno faccia la sua parte. Sempre. FONDI@GDS.IT