Giorgio Napolitano, insolitamente vestito di chiaro, con tono sereno, lo definisce l’unico «governo possibile» della Repubblica. Enrico Letta, il neo presidente, manifesta «sobria soddisfazione». Hanno ragione entrambi.
Nasce un esecutivo che rispecchia il risultato di una consultazione elettorale complessa, dove nessuno ha vinto oppure, se si vuole, come già si è scritto, ciascuno ha perso potendo dire di aver vinto. Il contesto politico resta incerto. Ma nelle condizioni difficili che tutti conoscono, potrà raggiungere buoni risultati se saprà selezionare pochi obiettivi concreti. Muovendo su due profili cruciali: la questione economica e sociale da un lato, la questione istituzionale dall’altro.
Sul primo profilo è chiaro lo stato delle cose. La produzione di ricchezza va a picco. Si va avanti con 41 imprese che chiudono ogni giorno, secondo Confindustria. Dall’inizio della crisi si sono perduti un milione e mezzo di posti di lavoro. I consumi regrediscono ai livelli di 15 anni fa. I valori più alti della crisi si registrano nelle regioni del Sud. In Sicilia e a Palermo, per fare un esempio che ci riguarda. Secondo Svimez, di questo passo, il divario tra le due Italie potrà essere superato tra quattro secoli. Sono urgenti adesso misure fiscali e di spesa pubblica che, nel tempo breve, spingano i consumi delle famiglie e l’economia delle imprese. Per favorire la crescita e l'aumento dell’occupazione. Ma sui posti di lavoro, bisogna essere chiari. Non possono nascere per decreto. Solo le imprese in salute possono crearli. Ci vogliono scelte coraggiose. Abbiamo alle spalle una riforma che mantiene rigidità eccessive sulle assunzioni e sui licenziamenti. Le aziende non assumono per paura di non poter licenziare. Non si vuole il massacro sociale che, per altro, avrebbe costi economici non lievi. Ma del sostegno dei lavoratori che perdono il posto, quando le aziende vanno in crisi, deve farsi carico la società, non le imprese.
Il secondo profilo è quello dell’efficienza istituzionale. Aspettiamo le dichiarazioni programmatiche del presidente per capire meglio. È indispensabile una legge elettorale, in grado di consentire agli italiani di scegliere deputati, senatori (adesso nominati dai partiti), e poi delineare maggioranze e governi stabili. Ma i tempi sono ormai maturi per aggiustamenti costituzionali. È logoro il “bicameralismo perfetto” con Camera e Senato che svolgono funzioni analoghe. Poi, se si è ormai, come molti dicono, a un presidenzialismo di fatto, sarebbe bene arrivare ad una svolta in senso presidenziale o semi presidenziale nelle istituzioni di governo. Se a tanto sapessero spingersi i partiti che sostengono questo “esecutivo di servizio", così come il neo presidente ha voluto definirlo, renderebbero il miglior servizio al Paese.
Nulla però è facile. Le difficoltà più grosse sono nella politica. È inutile nasconderlo. Questo governo è sostenuto da partiti che tra loro restano distinti e distanti. Il Pdl ha giocato benissimo le sue carte dopo le elezioni. Uscito dall’angolo è diventato il protagonista indiscusso degli sviluppi che hanno portato prima alla conferma di Napolitano, poi a questo governo di “larghe intese”. Ma non riesce a nascondere una certa ansia di tornare alle elezioni prima possibile, confortato da sondaggi molto favorevoli. Per ragioni opposte gli esponenti del Pd sostengono questo esecutivo come il naufrago si aggrappa all’ultima scialuppa per salvarsi. Sanno che, respingendolo, renderebbero inevitabili nuove elezioni. Che si risolverebbero in un disastro se indiscrezioni non smentite dicono di sondaggi che vedono un Pd al 22 per cento con uno su due dei suoi elettori incerti se rivotarlo. Da qui insoddisfazioni e risentimenti che non riservano al governo appena nato una navigazione tranquilla. Del resto lo stato delle cose è ben riassunto da Rosy Bindi quando afferma che si è consentito al vice segretario Enrico Letta di fare ciò che non si era consentito al segretario Pier Luigi Bersani (il quale, da parte sua, si irrigidiva nel progetto di un governo di minoranza sostenuto dai grillini).
Al punto in cui stanno le cose, si deve sperare nella capacità dei partiti di coniugare l’interesse generale con l’interesse proprio. Ciò avverrà se la lungimiranza prevarrà sulle pulsioni di corto respiro. I partiti sono sempre più lontani dal cuore della gente. Il successo di Grillo esprime rabbia e protesta insieme. Che non colpisce un partito in misura maggiore di un altro. Ma il sistema dei partiti: onnivori, ingombranti, fonti di potere clientelare e di corruzione. Nessuno può illudersi di cooptare la protesta attraverso combinazioni di schieramenti in Parlamento. Bisogna spiazzarla con misure di buon governo e con la ripresa dell'economia . Enrico Letta è così ad una prova la cui difficoltà ha rari precedenti. Si presenta agli italiani nel migliore dei modi. Ha formato una squadra con un buon equilibrio tra ringiovanimento e competenza. Presenta importanti novità con la destinazione di Emma Bonino agli Esteri e di Cecile Kyenge, primo ministro di colore, all'Integrazione. È riuscito a districarsi, con l’aiuto autorevole del capo dello Stato, tra veti e ostacoli tutt’altro che lievi. Ora la sua strada è stretta. Ma si delineano scenari a lui favorevoli. Non siamo sull’orlo di quel baratro nel quale operò il governo guidato da Mario Monti. Oggi lo spread si è ridotto della metà rispetto ad allora. Nei mercati internazionali si vendono bene i nostri titoli pubblici. L' Europa guarda ora con maggiore decisione alla crescita dopo l’austerità. Non potrà navigare nell’oro. Letta ha più risorse a disposizione di quanto non ne avesse il suo predecessore (anche grazie a tagli e riforme realizzati da Monti e non sempre adeguatamente apprezzati). Si tratta adesso per il neo presidente di muovere col passo giusto nell’uso accorto della spesa pubblica per favorire investimenti senza finanziare sprechi. Le competenze non gli mancano. È stato ministro alla Politiche comunitarie ed all’Industria. Ha potuto apprendere i mestieri di governo da sottosegretario alla Presidenza nel tempo di Romano Prodi. Deve adesso mostrare la giusta determinazione per resistere agli egoismi dei partiti che lo sostengono e guardare alla società che aspetta risposte. Napolitano ha definito questo governo, semplicemente, un governo politico in grado di ottenere la maggioranza del parlamento. Dopo quello dei tecnici questo é l'esecutivo che rivede i partiti in primo piano. Funzionerà se i partiti non lo considerano un governo per loro, e sapranno guardare a noi.
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