Il primo giorno di consultazioni si è chiuso in maniera incoraggiante anche se l’accordo non c’è ancora. Il presidente incaricato ha incassato riconoscimenti importanti. Il principale è venuto dagli Stati Uniti dove Silvio Berlusconi è ospite di George Bush: «Il fallimento di Letta? Non voglio nemmeno pensarci», ha dichiarato il leader del Pdl. La Lega ha promesso che non si metterà di traverso anche se sceglierà l’opposizione.
Persino i grillini si sono scongelati annunciando qualche piccolo spiraglio, con la disponibilità a valutare i singoli provvedimenti. Politicamente non sembrano esserci ostacoli verso Palazzo Chigi. Paradossalmente, ma neanche tanto, i mal di pancia più forti arrivano dall'interno del Pd. Sparano sul quartier generale del premier. Rosy Bindi vorrebbe un governo dai colori più sbiaditi affermando che non si può riconoscere al vice-segretario quello che è stato impedito al segretario. Il prodiano Gozi è ancora più esplicito: «Il governissimo mi fa schifo». E giù veti sui singoli candidati del Pdl al rango di ministro. Segno che molti serpenti si nascondono in quella foresta pietrificata che ormai è diventato il Pd. Sordi anche all’esortazione del Presidente Napolitano che, nell’applauditissimo intervento di lunedì in Parlamento, auspicava l’alleanza fra diversi.
Questo significa che Enrico Letta deve insistere sulla strada che ha intrapreso. Prima i programmi e poi la squadra, senza rigidità. Anche qui si vede chiaramente la mano del Capo dello Stato a conferma, casomai ve ne fosse bisogno, che ormai l’Italia è diventata una Repubblica presidenziale.
Ma c’è anche un altro padrinaggio che veglia sul percorso di Letta. Si tratta dell’Europa, convitato di pietra alle trattative di governo ma nient’affatto silente. Il commissario agli Affari Economici, Olli Rehn ha annunciato che non è più l’austerità la stella polare cui i governi devono orientare la loro marcia. Ora serve la crescita. Un’apertura che, sicuramente, renderà più agevole il cammino di Letta. Gli offre una ricetta per curare i mal di pancia. Tuttavia bisogna evitare l’intossicazione da farmaci. Significa stabilire la scaletta delle priorità. In testa ci deve essere la ripresa produttiva perché se non ripartono le aziende non ci sarà mai ricchezza sufficiente per il resto. Prima fabbriche e negozi. Poi il resto. Per dirla chiara: il rimborso dei debiti della pubblica amministrazione e il contenimento dell’Iva per impedire l’aumento di luglio sono le priorità. La revisione dell’Imu appartiene ad una fase successiva. Ha fatto bene il Pdl a chiederla ieri a Letta, ma la frase di Berlusconi la dice lunga. Della restituzione si parlerà solo se e quando possibile. Un sacrificio per il centro-destra cui ne dovrà corrispondere uno a sinistra. Vale a dire la revisione degli ammortizzatori sociali. Quindi abolizione della cassa integrazione in deroga e di quella straordinaria il cui finanziamento ricade sulla fiscalità generale. In cambio l’accelerazione dell’Aspi (la nuova indennità di disoccupazione) prevista dalla riforma Fornero. Perché? Perchè non serve mascherare posti che la recessione ha cancellato. Occorre una politica attiva del lavoro favorendo la formazione e il reinserimento dei disoccupati. Tutto questo perché la crisi è forte. Occorre stringere i tempi e fare subito le riforme che servono.
Programmi senza rigidità
Persino i grillini si sono scongelati annunciando qualche piccolo spiraglio, con la disponibilità a valutare i singoli provvedimenti. Politicamente non sembrano esserci ostacoli verso Palazzo Chigi
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