Il tema della formazione si accompagna spesso in Sicilia a toni inaspriti e talora esasperati; a causa dei massicci flussi di spesa pubblica necessari al funzionamento della macchina, a causa di una crescita esponenziale del personale addetto e persistendo forti dubbi in ordine agli effetti sull'occupabilità dei partecipanti ai corsi, la riforma organica del settore, sempre auspicata, è finora rimasta nella sfera dell'utopia. In questi giorni il governo regionale ha lasciato filtrare le prime idee in ordine ad un possibile schema di riforma, con alcuni apprezzabili spunti di novità ma senza sgombrare il campo da tutti i dubbi. Nel tumultuoso vortice di notizie stampa si fa una certa fatica a separare i fatti dai commenti. Per dare corso, comunque, alla difficile interpretazione delle tante notizie che si affastellano sulla formazione siciliana, è possibile attingere ad una fonte sicura.
La Corte dei Conti, nel rendiconto generale della Regione, fornisce una serie di informazioni puntuali che, sia pure aggiornate al 2011 e quindi non "freschissime", assicurano tuttavia elementi certi di comprensione. A seguito delle ultime revisioni, sono spendibili per la formazione siciliana 2,6 miliardi di euro per il periodo 2007-2013; alla fine del 2011 risultavano però impegnati solo 985 milioni di euro e spesi effettivamente 346 milioni. In totale i progetti ammessi al finanziamento hanno raggiunto la ragguardevole soglia di 13.681. Pur essendo trascorsi i primi cinque anni utili per la spesa dei fondi comunitari, ed avendo consumato quindi il 70% del tempo a disposizione, la spesa si è però fermata al 17%; nella media delle regioni meridionali la percentuale di spesa ha raggiunto invece il 25% delle risorse disponibili. Obiettivo del Fondo sociale europeo (FSE) è finanziare l'istruzione e la formazione per favorire, da un canto, l'accesso al mondo lavoro ed offrire alle aziende, dall'altro, la possibilità di avvalersi di risorse umane professionalizzate. Rientrano nelle finalità del Fondo europeo anche interventi specifici, mirati a persone svantaggiate, in una logica di garanzia delle pari opportunità.
Come spesso accade nel consolidarsi dell'opinione pubblica, in una notte buia tutte le mucche risultano nere. Ma non sempre è così. Fuori metafora, nella nebulosa della formazione siciliana si intravede qua e là anche qualche rado punto luminoso. In questo senso si segnalano interventi, a titolarità del ministero dell'Istruzione, per favorire l'educazione finanziaria e la cultura di impresa, con periodi di residenza all'estero; ed ancora si ricordano avvisi pubblici per il conseguimento di una certificazione internazionale di lingua straniera o le sovvenzioni relative alla qualificazione di risorse umane nel comparto della ricerca e dell'innovazione tecnologica. Si tratta comunque di quote residuali rispetto all'ammontare complessivo dei fondi stanziati che, può essere utile ricordarlo, superano i 2.600 milioni di euro.
E veniamo alla rivoluzione annunciata. Va detto intanto che le misure ipotizzate andrebbero ad impegnare complessivamente 450 milioni di euro per la formazione; circa 280 milioni andrebbero allo svolgimento dei corsi, mentre 170 (e qui è la forte novità) sarebbero destinati all'erogazione di bonus. In particolare le imprese siciliane beneficerebbero di un contributo di sei mila euro per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato dopo la relativa formazione. Il bonus si ridurrebbe a tre mila euro per la costituzione di rapporti di lavoro a part time o di apprendistato o ancora a tempo determinato per almeno 24 mesi. Per ogni giovane "corsista" occupato a fare pratica presso studi professionali è riconosciuto, poi, un bonus di 600 euro mensili; un contributo questo che dovrebbe mettere fine alla pratica poco decorosa, tanto per chi la propone che per chi la subisce, del praticantato a "gratis". Sempre a vantaggio dei giovani formati presso il sistema accreditato dalla Regione, sono a disposizione altri bonus per complessivi 14 milioni di euro, con il fine di dare vita a nuove imprese.
In definitiva non si può tacere il carattere innovativo delle misure annunciate, che si muovono nella logica di agevolare l'ingresso nel mercato del lavoro. Sembra però più difficile fare confluire le altre misure proposte nella stessa strategia; il riferimento è ai bonus per gli enti di formazione accreditati. Stando alle prime indiscrezioni stampa, l'ente formatore riceverebbe da 500 a 750 euro per ogni studente inserito nel mondo del lavoro, con contratto a tempo determinato da 12 a 24 mesi; mentre riceverebbe mille euro per l'avvio di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ora l'erogazione di un bonus così strutturato a vantaggio dell'ente formatore, che già beneficia dell'erogazione pubblica, alimenta qualche dubbio. In primo luogo non è previsto un disincentivo in caso di mancata immissione dei corsisti nel mercato del lavoro. Come dire, se non cambia nulla, resta in piedi il sistema precedente di assegnazione delle risorse. Certo l'ente di formazione dal canto suo potrebbe dolersi, in caso di disincentivi, della totale assenza di strumenti per favorire la occupabilità dei partecipanti ai corsi; ed avrebbe anche ragione.
Ma questo stesso ragionamento funziona anche all'incontrario: perché incentivare qualcuno che non può garantire quanto gli viene richiesto? In tutta questa storia c'è una verità in parte sottaciuta. Il sistema praticato ha fatto dilatare oltre ogni possibile misura il numero dei formatori, lievitati fino a circa nove mila unità. Oggi è difficile liberarsene senza la temuta e temibile «macelleria sociale». E quindi continueremo a girare attorno al problema. Intanto però si potrebbe cominciare con un rigoroso censimento degli addetti reali e mettere uno sbarramento definitivo. Qualche anno fa il governo chiese con legge regionale di conoscere quanti "formatori" potessero essere avviati alla pensione. Senza risposta. Nella Sicilia dei gattopardi tutto è difficile, a maggior ragione quando si pensa che la formazione beneficia di supporter politici.
E dire che con 450 milioni di euro sarebbe possibile assumere 25 mila persone, con una paga base di 20 mila euro all'anno, sgravando totalmente il datore di lavoro da ogni onere contributivo per un intero triennio. Con in più un particolare: sarebbero posti di lavoro veri.
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