E così, mentre la Regione cerca con affanno di chiudere un bilancio non sapendo cosa tagliare prima e dove trovare i soldi, escono fuori altri ammanchi che danno un quadro disarmante di come vanno le cose da queste parti. C’è, infatti, un buco milionario nei conti delle società partecipate regionali.
E si rischia pure di dovere assumere altre 150 persone (i settemila che già ci sono evidentemente non bastano). Ma nella regione dove i soldi sono pochi e il personale è in abbondanza, non può passare in silenzio il caso dei consulenti esterni che i Comuni sono obbligati ad assumere per esaminare gli appalti. Oggi emerge con chiarezza che siamo davanti a un pasticciaccio. Per diversi motivi. Innanzitutto, scopriamo che per pagare questi consulenti ci sono due tariffari. Uno che stabilisce la tariffa di 300 euro al giorno, l’altro che ne bastano 100 a seduta. Il primo è previsto dalle legge regionale, il secondo è contenuto in un parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Con il conseguente risultato che i «Comuni hanno pagate parcelle più alte». Non solo, l’assessore Bartolotta sostiene che «questa norma non esiste nel codice degli appalti nazionali, è una specificità siciliana». Non ne avevano dubbi. In questo siamo davvero maestri. Perchè così il personale dei Comuni assunto per fare questo lavoro, rischia di andare in ufficio solo per riscaldare la sedia e per noi contribuenti scatta un doppio costo. Da pagare in tasse, ovviamente. Sarebbe il caso che si mettesse fine a questo «mostro»: c’è già il personale assunto, se è infedele, la magistratura potrà intervenire in caso di malefatte. Ed è del tutto inutile ora cercare di capire quanto vanno pagati i consulenti esterni. La norma è da cassare subito, nella prossima finanziaria. Senza indugi.