Ora Bersani vede nero. Non trova luce nelle consultazioni. Scoperta tardiva. In fondo, si trova nello stesso contesto dal quale era partito. Dove, come osserva Michele Ainis (Corriere della Sera, 19 marzo) dal voto si è passati ai veti, e dai veti si rischia di tornare al voto. Sarebbe possibile un governo tra centrosinistra e centrodestra, che altrove si definisce di «grande coalizione».
Ma il centrosinistra non ci sta. Cerca invece un accordo con il M5S di Grillo. Il quale, a sua volta, non fa che ripetere il suo no. Si potrebbe riproporre la "strana maggioranza" che ha consentito il governo di Mario Monti. Ma questo non lo vuole nessuno.
Nel buio, il Pd cerca pure una soluzione , nel gioco della doppia maggioranza. Una per il governo (da cui Pdl e Lega sono esclusi), l’altra per riforme istituzionali e capo dello Stato (che invece li includerebbe ). Nel gioco si arriverebbe a soluzioni tattiche per far passare un governo senza votarlo (uscite dall’aula, non sfiducia, fiducia tecnica e via dicendo). Dal voto ai veti, poi a un governo del non voto? Non sappiamo. Intanto valutiamo quanto è successo.
Bersani, chiudendo al centrodestra e cercando Grillo, punta in alto. Vuole svuotare la protesta, pilotando l’innovazione. Così nei suoi otto punti non pochi sono presi dall’agenda degli esponenti di M5S. Ma, inevitabilmente, più Bersani si avvicina a loro, più loro devono contrapporsi a lui. Il leader del Pd si muove in un equilibrio impossibile. Grillo vuole "accerchiare" i vecchi partiti, per ottenerne la "resa" . Bersani gli propone un governo “di cambiamento”. Ma Grillo vuole in primo luogo cambiare Bersani. Come può accettare che il governo del cambiamento abbia la guida nel leader del partito maggiore, quando, per Grillo , non c’è cambiamento possibile, se i partiti non si mettono da parte?
Poi, cambiando per cercar consensi, Bersani ottiene successi che ora si ritorcono contro di lui. Se mette al vertice di Camera e Senato un neo deputato e un neo senatore, che tutti applaudono perché “persone nuove”, “fuori dai partiti e dai vecchi giochi”, come può proporre un governo del cambiamento che, però, lascia alla guida un leader come se stesso? E' un politico di sicuro valore. Candidato premier acclamato alle primarie, certo. Ma del tutto “dentro” i “vecchi giochi” che i rinnovatori vogliono rimuovere.
L’azzardo su Grillo, adesso, rischia di produrre una sindrome irreversibile. Nasce e si afferma l'idea di un “peccato di partito”. Se si vuol innovare, cambiare, riformare bisogna affidarsi a personalità che dai partiti appaiono distinti e distanti. Certo i partiti restano “dentro” le istituzioni. Come è successo con Laura Boldrini alla Camera, e Piero Grasso al Senato, possono pure indicare al vertice uomini graditi a loro. Purché siano visibilmente “altro da loro”. Del resto la stessa neo presidente della Camera, replicando a Grillo, che la considera, insieme a Grasso, espressione della partitocrazia, mette in primo piano la circostanza di "non essere mai stata iscritta a nessun partito". Così non si fa entrare il rinnovamento nei partiti. Ma si fanno uscire i partiti dal rinnovamento. Non è un bel risultato.
Si legge su La Stampa di ieri un titolo che sorprende. “Brunetta: in economia Pdl e Pd dicono le stesse cose”. Nel testo dell’intervista, il nuovo presidente dei deputati del Pdl è più che esplicito : “Signori, diciamo le cose come stanno: il programma di politica economica del Pdl e del Pd sono assolutamente sovrapponibili. È questa la chiave di tutto. Il resto sono chiacchiere..”. Prendiamo atto. Ma "le cose " stavano così? Non si definiva il Pdl alternativo alla sinistra, in primo luogo sui temi dell’economia? Le larghe intese sono dunque possibili per Brunetta che aggiunge:“Io e Fassina (responsabile economico del Pd, n.d.r.) sulle questioni economiche la pensiamo allo stesso modo. Lui mi ha seguito…”. Non sappiamo chi ha seguito e chi è seguito. Ma se le cose stanno così, qualcuno ha cambiato idea. Non è un male. Grandi pensatori, a cominciare da Beltrand Russell, elogiano la contraddizione come effetto dell’intelligenza. In questo, i partiti, in Italia, talora o spesso, sono geniali.