Laura Boldrini presidente della Camera, Pietro Grasso presidente del Senato. Lo stallo istituzionale è stato superato con personalità di alto profilo e, soprattutto svincolate da carrierismi di partito. Sicuramente una buona notizia. La Boldrini è stata premiata per l' impegno di quattordici anni nell'Agenzia dell'Onu per i rifugiati.
Piero Grasso per i successi che proprio a Palermo ha saputo conseguire nella lotta alla criminalità organizzata e nell'affermazione della legalità. Bene supremo per tutta la collettività. Al ballottaggio l'ha spuntata su Renato Schifani, ancora un siciliano che, per quasi cinque anni, ha guidato il Senato con impeccabile rispetto del suo ruolo di responsabilità. Il fatto che due personalità eccellenti dell'isola si siano sfidate per la seconda carica dello Stato ci deve riempire d'orgoglio.
Certo, nel discorso della Boldrini non sono mancati gli accenti ideologici, fortemente condizionati dal fatto di essere stata eletta in Parlamento nelle file della sinistra radicale. In questo si può già vedere il limite maggiore delle votazioni di ieri. La coalizione guidata da Pier Luigi Bersani ha eletto la seconda e la terza carica dello Stato facendo ricorso unicamente ai propri voti. Ruoli arbitrali così elevati avrebbero consigliato soluzioni condivise. Invece è stata privilegiata la logica di appartenenza. Una scelta che lancia presagi oscuri sulle consultazioni per la formazione del nuovo governo e ancora di più sull'elezione del successore di Giorgio Napolitano. Ognuno dei partiti, tranne qualche piccolo smottamento nel voto per Grasso, ieri è rimasto chiuso nel suo bunker rendendo sempre più incerta la sopravvivenza della legislatura.
I discorsi di insediamento sono stati molto protocollari e, vista la situazione, non poteva, forse, essere diverso. Molto, i due presidenti, hanno parlato di necessità di cambiamento, di lavoro, di giovani. Nessuno però si è addentrato nell'illustrazione delle modalità attraverso cui il rinnovamento dovrebbe manifestarsi. Molta enfasi sui diritti. Nessun accenno ai doveri. Quasi che il lavoro e l'occupazione per i giovani scaturissero da un colpo di bacchetta magica. Solo lo sviluppo può i curare i problemi sociali che affliggono oggi il Paese. Questo significa mettere al primo posto l'impresa e la sua capacità di creare occupazione. Per farlo, però, è necessario creare le condizioni per lo sviluppo e per gli investimenti. Altrimenti continueremo a litigare per accaparrarci fette di una torta che dimagrisce anno dopo anno. Da questo punto di vista non rappresenta certo un segno di cambiamento la difesa che, tanto Laura Boldrini quanto Piero Grasso, hanno fatto della Costituzione. L'hanno definita «la migliore del mondo». Certamente vero sotto il profilo dei principi generali (anche se gli americani avrebbero qualcosa da obiettare ricordando la Dichiarazione di Indipendenza del 1776). Molto più rugosa per quanto riguarda l'ordinamento. La situazione di stallo in cui ci troviamo è frutto, per molti versi, di un sistema di regole che, dando centralità assoluta al Parlamento, toglie efficacia all'attività di governo. La lentezza con cui le leggi vengono approvate e il saccheggio che ne viene fatto in aula e nelle commissioni, stanno paralizzando il Paese. Per non parlare del ruolo della magistratura. Svincolata da ogni forma di controllo, a causa dell'autoreferenzialità del Csm, rende molto complicata l'attività economica. Una giustizia civile che impiega anni per dare una sentenza, decade dalla sua funzione. Tutto questo per dire che il cambiamento vero tocca i comportamenti. Non bastano le solenni dichiarazioni di principio come quelle che abbiamo sentito ieri alla Camera e al Senato.