Credo che il nuovo Francesco farà pedalare il mondo. Tre episodi tra i primissimi. Atto primo. L'altra sera, dopo aver benedetto la folla in piazza San Pietro, il Papa è tornato alla residenza di Santa Marta salendo sul pullmino con i suoi ex colleghi cardinali. Atto secondo. Rientrato in casa, s'è messo al telefono e ha chiamato una famiglia romana amica. «Pronto? Sono il Papa, mi passi la mamma?... Ciao Stefania, sono il Papa. Volevo fare a voi la mia prima telefonata...». Atto terzo. Ieri mattina, dopo essere andato prestissimo, su un'auto normale della gendarmeria e con una sola vettura di scorta, a ringraziare la madonna Salus populi romani a Santa Maria Maggiore, ha chiesto all'autista di fare una sosta nell'alberghetto religioso dove aveva dormito prima del conclave. È sceso dall'auto, è entrato, ha pagato il conto e se n'è andato. «Per dare l'esempio».
Non sono atteggiamenti pauperistici per impressionare il pubblico, visto che il cardinal Bergoglio se ne andava in giro a Buenos Aires in metropolitana e non porta al collo una croce d'oro. Se un papa decide di chiamarsi Francesco, fa tremare la Chiesa e non solo. La povertà è una cosa seria. Serissima per i poveri che in Italia si sono moltiplicati, ma sono ricchi rispetto ai miliardi di poveri nel mondo. Serissima per la Curia romana, per le diocesi, per le parrocchie. Se il Papa dà l'esempio, è perché venga seguito. Ottocento anni fa Innocento III incoraggiò San Francesco perché vedeva nella carità, nell'umiltà e nell'obbedienza i cardini del rinnovamento della Chiesa.
Se oggi i cardinali, dando prova della grandezza dell'istituzione alla quale appartengono, hanno scelto un Bergoglio è perché davvero vogliono eliminare in modo radicale tutti gli elementi di equivoco che hanno appannato negli ultimi anni la storia della Chiesa. Credo che una parte delle ricostruzioni alla Dan Brown che si son fatte sulla guerra di poteri all'ombra di San Pietro sia stata gonfiata e faccia parte di una campagna rivolta a scardinare il più alto riferimento etico del mondo. Ma che nei sacri palazzi prosperassero gravissime fonti d'inquinamento è sotto gli occhi di tutti. Il compito di Francesco è di fare pulizia. C'è da chiedersi a questo punto perché un candidato italiano non sia stato ritenuto adatto al lavoro richiesto a Bergoglio.
Angelo Scola, arcivescovo di Milano, era favorito al punto che un comunicato della Conferenza episcopale italiana, diffuso per errore e poi ovviamente ritirato, si congratulava con l'arcivescovo di Milano per la sua elezione al soglio di Pietro. Molti cardinali europei erano convinti che il formidabile impegno pastorale di Scola, il suo elevatissimo livello intellettuale e la sua estraneità ai giochi della curia romana ne facessero un ideale candidato riformatore. Gli hanno giocato contro l'avversione della curia e di alcuni cardinali residenziali italiani, la lontanissima e mai rinnegata amicizia con don Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione, la convinzione (del tutto immotivata) che Scola fosse legato alla politica e in particolare all'ex governatore lombardo Roberto Formigoni. Quando il cardinale dice di avere due peccati originali (il secondo è CL) coglie perfettamente nel segno, con le conseguenze che abbiamo visto. Si aggiunga la differenza di alcuni episcopati (americano e non solo) verso le gerarchie italiane per gli scandali che hanno oggettivamente appannato l'immagine della Chiesa. Tradizione vuole che un papa straniero scelga un segretario di Stato italiano. Da qui capiremo come vuole muoversi Francesco nei confronti della curia: la scelta di un curiale non troppo esposto sarebbe un segno di riforma graduale, la scelta di un anticuriale (Scola o qualcuno con le sue stesse posizioni) segnerebbe davvero l'avvio di una rivoluzione. Ieri sera, nella messa di ringraziamento della Sistina, papa Francesco ha detto: «Senza portare la croce non saremmo discepoli del Signore». Ho la sensazione che la croce diventerà presto molto pesante per un numero insospettabile di persone e di abitudini...
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