La presidente argentina seguirà le regole del protocollo e della cortesia. Sarà presente a Roma alla "inaugurazione" di Papa Francesco, il suo connazionale Jorge Maria Bergoglio. Con ogni probabilità il nuovo pontefice compirà il suo primo viaggio pastorale nel luglio prossimo, diretto in Sud America.
L'appuntamento è il Brasile, è probabile che egli faccia, o prima o dopo, un salto a Buenos Aires. Oltre a Cristina Kirchner, lo attenderà un entusiasmo popolare prevedibile per il primo pontefice non europeo e "latino".
Il calore delle masse è scontato, quello dei governanti meno. I rapporti fra la Chiesa cattolica e lo Stato argentino non sono tra i più intimi e non lo sono stati da un pezzo. La personalità del Pontefice li migliorerà, la sua immagine politica e ideologica crea qualche problema. Non solo egli è considerato un conservatore in senso teologico (con forti chiusure su temi oggi attualissimi come il matrimonio omosessuale, l'aborto, il celibato ecclesiastico, il ruolo delle donne nella Chiesa) ma anche gli orientamenti politici dell'episcopato argentino non sono facili da far coincidere con il clima politico prevalente. E non da oggi.
A Buenos Aires sono tornati da un pezzo al potere i peronisti e già sessant'anni fa, quando Juan Peron era presidente con Evita al suo fianco, ferveva una sorta di Kulturkampf, dal divorzio in giù e l'opposizione era visibilmente capeggiata dall'arcivescovo cardinale Copello, che a volte sembrava incline ricorrere alla scomunica.
Il contenzioso si è poi aggravato durante la dittatura militare, soprattutto per la sua politica repressiva culminata nella sorte dei desaparecidos di cui la Chiesa è accusata dai peronisti e dalla sinistra in genere di essersi «occupata poco». Più attuale è il contrasto fra le inclinazioni della Kirchner e del suo partito in genere verso una «laicizzazione» della società argentina.
Il fenomeno non è limitato a Buenos Aires. È presente in Brasile, anche qui impersonato da una donna capo dello Stato, Dilma Rousseff, erede non soltanto della presidenza Lula ma anche degli anni di lotta clandestina, anche armata, contro un'altra dittatura, quella brasiliana, pur assai meno cruenta e meno militare nella sua essenza.
Che ci siano difficoltà e contrasti è inevitabile, perché l'America Latina in genere, che sembrava guarita dalla febbre della Revolucion dopo l'ondata castrista-guevarista e volta a una "europeizzazione" in senso liberale e liberista, vive da più di un decennio un revival della tentazione rivoluzionaria in molti Paesi. Il suo esponente di maggior fama è stato fino all'altro giorno il presidente venezuelano Hugo Chavez, ma sviluppi più moderati si segnalano dalla Bolivia all'Uruguay.
Tutto questo può essere secondario nella visione della Chiesa, i cui traguardi e le cui ansie sono a più ampia scadenza. L'America Latina è oggi l'area cruciale di sviluppi planetari.
Ci vive il 40 per cento di tutti i cattolici del mondo, cui dovrebbero essere aggiunti anche gli "ispanici" che continuano ad emigrare negli Stati Uniti. Nello stesso tempo l'America Meridionale e Centrale ha visto nei decenni recenti una flessione della presenza cattolica dovuta però in gran parte non a una "secolarizzazione" di tipo europeo ma al proselitismo delle nuove sette protestanti di tipo americano.
Un fenomeno in controtendenza mondiale, non molto avvertibile in Argentina, ma visibilissimo in Guatemala e soprattutto in Brasile, dove le statistiche segnalano quasi un terzo di "conversioni" dal cattolicesimo verso espressioni di fede più recenti e apparentemente effimere. Questa situazione contribuisce a spiegare la scelta di un cardinale latinoamericano come successore di Ratzinger.
I più si attendevano il brasiliano Scherer, dal momento che il Brasile conta 145 milioni di cattolici e l'Argentina solo 34 milioni. Ma questo conteggio rispecchia una logica "elettorale" che evidentemente non è e non può essere quella della Chiesa.