Passata la commozione immediata, è il momento di valutare l'elezione al pontificato di Francesco con una riflessione più pacata e analitica. A noi sembra che essa dica alcune cose, che riporto di seguito. In primo luogo è stata significativa la modalità in cui questa elezione è avvenuta. Una Chiesa scossa da scandali, lotte di potere, ritardi culturali, e in ultimo dalle dimissioni, comprensibili ma egualmente traumatiche, del suo Pastore supremo, è stata in grado di esprimere in due giorni, sovvertendo tutte le previsioni e i calcoli degli esperti, un Pontefice che rappresenta una reale novità sotto tutti i profili: la provenienza, il nome assunto, lo stile. Da ciò che sembrava vecchio e stantìo è nata, senza preavviso, una prospettiva di futuro di cui c'era un estremo bisogno, ma che sembrava impossibile. E questo è accaduto non contro le logiche dell'istituzione, ma rispettandone scrupolosamente le regole. Basta confrontare tutto ciò con quello che sta accadendo nel nostro Paese sul fronte politico - dove ciò che è istituzionale è ostaggio del vecchio e ciò che è nuovo nasce fuori dell'istituzione e stenta a rientrarvi - per capire i credenti quando dicono che in questo Conclave c'è il segno dello Spirito Santo, con la sua potenza creatrice.
In secondo luogo, come si accennava, è importante la provenienza di Francesco. Per secoli la Chiesa ha parlato quasi soltanto in italiano. Con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si è aperta alla guida di Papi stranieri, ma pur sempre provenienti dal vecchio mondo. Ora, per la prima volta, abbiamo un Pontefice che onora pienamente il titolo di "cattolica", "universale", che fregia la Chiesa romana, perché arriva dalla "fine del mondo". Tra Buenos Aires e Roma ci sono 14 ore di volo e quattro ore di scarto nel fuso orario. Veramente questo Papa viene da lontano.
E questo è ancora più vero sul piano culturale. L'America latina, di cui egli ora porta la voce nel cuore della Chiesa, è una terra di grande espansione del cattolicesimo, ma anche di fortissime contraddizioni. Là si è giocata, finora in modo assai problematico, la grande partita della teologia della liberazione. Ce n'era una impregnata di marxismo, che tradiva le logiche del Vangelo. Ma negli ultimi decenni la Chiesa ha lasciato cadere spesso anche quella coerentemente evangelica, che pure esisteva e chiedeva spazio. Il nuovo Papa, che non viene da uno dei Paesi ricchi e che tanto a cuore sembra avere il problema delle ingiustizie sociali e dei poveri, potrebbe essere colui che riprende la questione finalmente in termini equilibrati.
In terzo luogo è importante la scelta del nome, Francesco. Francesco d'Assisi è stato il santo che più ha dovuto contrastare con la corruzione e la decadenza della Chiesa del suo tempo, lavorando per riportarla a uno stile di povertà evangelica e di servizio. Era questo il mandato che il Signore, apparendogli, gli aveva dato, ed egli l'ha svolto come una missione sacra. Ma l'ha fatto nello spirito di umiltà e di appartenenza nei confronti dell'istituzione ecclesiale. C'erano allora movimenti pauperistici che rompevano con l'ortodossia e contestavano la Chiesa. Sembrava la via più diretta. Invece la storia ha dimostrato che era un vicolo cieco, inghiottendo nell'oblio perfino i nomi di questi «riformatori». Francesco capì che l'istituzione si rinnova dall'interno, vivendone pazientemente il travaglio, anche se lavorando con fermezza per introdurre nuova vita là dove c'è abitudinarismo e corruzione. Non ci sembra arbitrario ipotizzare che il nuovo Papa abbia pensato anche a questo, decidendo di chiamarsi Francesco.
Infine, lo stile di questo Pontefice ci appare contrassegnato da una semplicità colloquiale che lo pone non nelle vesti del monarca, ma in quelle del fratello. «Buonasera», sono state le sue prime parole. Dicono che nella sua diocesi - una immensa capitale come Buenos Aires - egli viva non nell'episcopio, ma in un appartamentino e che si cucini da sé, prendendo, per gli spostamenti, i mezzi pubblici. Senza nulla togliere ai suoi predecessori sul soglio pontifico, c'è qui un salto di qualità. Soprattutto, però, è stata commovente la sua proposta di fare tutti insieme silenzio - centinaia di migliaia di persone hanno subito obbedito alla richiesta - per pregare gli uni per gli altri. Sì, Francesco ha riconosciuto il suo compito, che era quello di invocare la benedizione di Dio sul suo popolo, ma ha voluto che anch'esso facesse lo stesso nei suoi confronti. Non ricordiamo un Pontefice che abbia chiesto alla sua gente di benedirlo! E così anche noi vogliamo, concludendo le nostre riflessioni, partecipare a questa benedizione, ringraziando Dio di averci dato Francesco come Papa.