La solenne apertura del Conclave che eleggerà il successore di Benedetto XVI si svolge in un clima di grande incertezza sul nome del possibile prescelto, ma in un contesto storico e culturale che suggerisce già, a larghe linee, l'identikit del nuovo Papa. L'orizzonte di fondo è quello che non a caso i due ultimi Pontefici hanno vigorosamente indicato e che il loro successore non potrà ignorare: l'esigenza improrogabile di una «nuova evangelizzazione», particolarmente urgente nei Paesi del vecchio continente e più in generale nell'area territoriale di quell'Occidente che ormai da tempo appare in larga misura scristianizzato.
La secolarizzazione galoppante degli ultimi baluardi dell'antica cristianità - Spagna, Irlanda, Italia - va ben al di là degli effetti dello scandalo della pedofilia e si fonda, piuttosto, su un profondo allontanamento culturale e spirituale che ormai da tempo è in atto anche in altre nazioni. Da qui la crisi delle vocazioni sacerdotali e religiose, col conseguente svuotamento di seminari e conventi, l'abbassamento della percentuale di frequenze alla messa domenicale, la crisi dei matrimoni religiosi. Per non dire che, anche per quanto riguarda i battesimi e le prime comunioni, diventa sempre più frequente incontrare famiglie troppo estranee alla fede per far accostare i propri figli a questi sacramenti.
Si spiega anche così l'allontanamento di tanti giovani dalla Chiesa. Ma non solo. Anche quelli che sono battezzati e che fanno la prima comunione, allo scadere dei tredici anni tendono ad allontanarsi dalla pratica cristiana. Ci sono, è vero, i grandi raduni ecclesiali, come la Giornata Mondiale della Gioventù, ma sono molti i sintomi che rivelano, dietro la partecipazione di massa, un sostanziale scollamento tra l'insegnamento del magistero, soprattutto in campo etico, e le esigenze, gli interessi, la mentalità delle nuove generazioni.
Si potrà obiettare che tutto questo non impedisce alla Chiesa di espandersi continuamente al di fuori del continente europeo. Ma, anche a non considerare il pauroso fenomeno di erosione operato dalle sette eterodosse nell'America latina, è chiaro che, col fenomeno della globalizzazione, la cultura occidentale tende a diffondersi a livello planetario e l'affermarsi di una stagione post-cristiana in Europa non può non condizionare pesantemente il futuro del cristianesimo anche altrove.
Al tempo stesso, però, la nuova evangelizzazione non può e non deve ignorare l'esigenza, altrettanto pressante, di un confronto più dinamico con le altre culture e con le altre religioni. In un momento storico in cui i muri divisori fra le diverse tradizioni religiose sono caduti, così che non è più affatto automatico per un occidentale orientare i propri interessi religiosi verso Gesù invece che verso Buddha o Maometto, è diventato indispensabile ripensare i rapporti tra questi differenti percorsi dottrinali e spirituali. Ciò non contrasta con l'esigenza, di cui parlavamo prima, di un nuovo approccio allo stesso messaggio cristiano, anzi: solo un cristianesimo capace di andare con rinnovato slancio al proprio nucleo più profondo può dialogare efficacemente con le altre religioni.
I problemi attuali della Chiesa non riguardano, però, solo l'impostazione pastorale e dottrinale. Un profondo disagio la pervade oggi nella sua dimensione propriamente istituzionale. Le fughe di notizie verificatesi negli ultimi mesi hanno lasciato trasparire l'immagine di un Vaticano che non sembra essere all'altezza della sua grande missione spirituale. Si aggiungano le oscurità che continuano da troppo tempo a gravare sullo Ior e più in generale sulle finanze della Chiesa. Per dissipare queste nebbie non basterà sostituire questo o quel prelato al vertice di una congregazione: un rinnovamento radicale si impone, sia nello stile che nelle strutture. Non sarà facile. Forse Benedetto XVI, che sicuramente ne aveva avvertito la necessità, si è dimesso anche per consentire a qualcuno più giovane di lui di affrontare questa battaglia, che si preannunzia epica.
Ma anche nella nomina dei vescovi delle singole diocesi si avverte il bisogno di cambiamenti che tengano conto del nuovo ruolo del laicato e della sottolineatura dell'aspetto comunionale fatta dal Concilio. Secondo la nuova ecclesiologia proposta dal Vaticano II, un vescovo non è un funzionario inviato da Roma, è il pastore che deve esprimere, per portarla a maturazione, l'identità del suo popolo. Non può essere, perciò, scelto nel chiuso della Curia romana, prescindendo totalmente alle aspettative e dalle esigenze della comunità che dovrà guidare. Per questo, alle origini, veniva addirittura eletto dal clero e dal popolo di quella comunità. Questa formula ha troppi inconvenienti (rischierebbe di essere eletto chi fa una migliore campagna mediatica!) e non può sostituire la scelta operata dal Papa. Ma questa dovrebbe tenere assai più in considerazione di quanto non si faccia oggi il parere di tutte le componenti del popolo di Dio presenti e operanti in quella diocesi.
Sono solo alcuni dei problemi con cui il successore di Benedetto XVI dovrà misurarsi, se vorrà bloccare e invertire una tendenza che rischia di impoverire, non tanto numericamente quanto qualitativamente, le nostre comunità cristiane. Dovrà essere, perciò, una personalità dotata, oltre che di una profonda spiritualità, di una grande sensibilità culturale, che lo metta in condizione di intercettare il clima di un mondo che in pochi anni è radicalmente cambiato. Dovrà essere coraggioso ed energico, per poter cambiare molte cose, anche se con intelligente discrezione. Dovrà soprattutto sapere e volere governare, dedicando molto del suo tempo e delle sue risorse alla scelta di validi collaboratori, ma anche alla personale verifica di quanto, delle sue decisioni, trova via via una reale attuazione. Forse, per tutto questo, dovrà viaggiare di meno dei suoi ultimi predecessori, avere meno bagni di folla. Se così fosse, pazienza. Ci basterà sapere che prega, soffre, opera efficacemente per la Chiesa, perché sia più simile a quella che Cristo aveva sperato.