Qual è la differenza percepita nell'atteggiamento e nei programmi di Bersani, Berlusconi e Monti come sono apparsi nelle ultime serate di «Porta a porta»? Caratterialmente si tratta di tre persone radicalmente diverse. Bersani è gioviale, Berlusconi spumeggiante, Monti signorile. Sul piano delle promesse, chi è in vantaggio, come Bersani, tende a ridurle all'indispensabile, mentre chi insegue come Berlusconi e chi vuole sfatare l'immagine dell'implacabile tassatore come Monti fatalmente si allarga. Il piatto forte di Bersani è l'abolizione dell'Imu e del ticket sanitario per i più deboli, una riduzione del costo del lavoro e un forte piano di liberalizzazioni di cui il segretario del Pd non ha fornito troppi dettagli per non spaventare gli interessati.
Berlusconi ha insistito sull'assunzione «al netto» dei giovani e soprattutto sulla restituzione dell'Imu sulla prima casa. A «Porta a porta» Monti - anch'egli pronto a tagliare Imu e tasse - ha ridimensionato le sue critiche alla inverosimiglianza dell'anticipazione da parte della Cassa Depositi e Prestiti della somma necessaria al piano Berlusconi. La Cassa fornisce infatti abitualmente anticipazioni per costruire opere pubbliche o assistere terremotati. Si è invece concentrato sulla aleatorietà della tassazione dei capitali italiani in Svizzera e qui è stata oggettivamente sospetta, se non altro per i tempi, la valutazione del ministro elvetico delle finanze (leader di un partito frutto della scissione a sinistra del conservatore Udc) che rispondendo ieri all'interrogazione di una deputata socialista ha individuato nel gennaio 2015 l'arrivo dei primi soldi. Il che peraltro renderebbe soltanto più onerosi gli interessi da corrispondere alla Cassa.
Fin qui le promesse. Resta il problema chiave delle alleanze. Bersani ha chiarito che il suo rapporto con Vendola è indissolubile, fedele al vecchio motto «nessun nemico a sinistra», anche nella consapevolezza di poter gestire il Sel nella prospettiva di assorbirlo. Se Monti vuole starci, la compagnia è questa. E se il Professore dovesse dimostrarsi troppo esigente, ci sarebbe il «soccorso rosso» di alcuni senatori grillini che non sono una gabbia di matti, ma sperano di condizionare la maggioranza. Un conto è attaccare frontalmente Grillo con reminiscenze classiste («Io sono figlio di un meccanico, lui un miliardario», ha detto ieri Bersani), altro è «fare scouting» con alcuni dei suoi, difficilmente tutti propensi a farsi gestire via web da un signore lontano e fisicamente invisibile.
Monti sa di correre un pericolo mortale: gli esperti dicono che gli attacchi sempre più ruvidi a Berlusconi gli hanno alienato molti voti moderati. Di qui l'incrudirsi dei suoi attacchi anche a Bersani con l'evocazione sempre più frequente delle sue origini comuniste. Monti deve badare anche a quel che accade in casa sua. Le liste del Senato sono dominate dagli uomini di Casini che punta ad ottenere dieci senatori, il limite minimo per costituire un gruppo parlamentare. Ma potrebbero bastargliene meno se decidesse di aiutare Bersani anche contro il parere del Professore. Infine Berlusconi. La rimonta è stata spettacolare, vedremo se sarà sufficiente. Il suo obiettivo minore è sostituire Monti come interlocutore istituzionale di Bersani. Se il Professore entrasse in maggioranza, al PdL potrebbe andare la presidenza del Senato e di qui una partecipazione attiva ai giochi per il Quirinale.
Una sconfitta netta del PdL riaccenderebbe invece le vecchie velleità di Monti: diventare il capo di una coalizione moderata, europeista e riformista che - collocato il Cavaliere su un seggio ideale e lontano - unirebbe il centro alla parte più aperta del PdL, a cominciare dal segretario Alfano. Ancora per 48 ore c'è spazio per la fantapolitica. Da lunedì sera ogni parola dovrà confrontarsi con la realtà della nascente Terza Repubblica.