di BRUNO VESPA Torna l'ipotesi di un Papa italiano? L'altra sera, nello speciale di «Porta a porta», Massimo Cacciari ha osservato che la non elezione di un papa europeo potrebbe avere conseguenze molto serie per la tenuta del Vecchio Continente.
È una valutazione condivisibile. I peccati di curia (romana) e il ricordo degli scandali di pedofilia (irlandesi, belgi, ma anche americani) hanno bisogno di essere cancellati da una guida energica. E chissà che un italiano non sia la scelta migliore per togliere la polvere sotto i tappeti di casa propria. Sulla consistenza di questi peccati si dibatterà a lungo, prima e dopo l'elezione del successore di Benedetto.
L'ala più pessimista parla di documenti segreti, di situazioni inconfessabili che avrebbero terrorizzato il vecchio e limpido teologo asceso otto anni fa alla cattedra di Pietro. Dan Brown scriverebbe in proposito pagine magnifiche. Altri, più realisticamente, alludono a oggettive difficoltà di curia, all'impegno sovrumano di rinnovare una Chiesa che resta il punto di riferimento anche al di là del miliardo di cristiani e che tuttavia avrebbe bisogno di una guida più energica di quella che papa Ratzinger riconosce a se stesso. Fino alla scelta di Wojtyla l'elezione di un papa italiano era considerata il frutto di una naturale mediazione tra sensibilità tanto diverse nella Chiesa universale. E il papa polacco fu scelto con un consenso larghissimo, ma dopo che si erano elisi a vicenda due formidabili candidati italiani, gli arcivescovi di Genova e di Firenze, Siri e Benelli, il grande conservatore e il grande progressista. Wojtyla mise d'accordo facilmente i due partiti.
Dopo 38 anni è ragionevole, ma certo non scontato, che si torni a un papa italiano. In questo caso il candidato più autorevole è l'arcivescovo di Milano Angelo Scola. Scola si è tenuto rigorosamente fuori dalle beghe della curia romana, è il nostro cardinale forse con la più forte reputazione internazionale, è provvisto dell'energia e dell'autorevolezza necessarie a rimettere ordine in Vaticano. Se mettesse mano ai problemi della Chiesa con l'entusiasmo, l'energia e la fantasia che ha dimostrato a Venezia e Milano avremmo grandi sorprese. Scola era candidato al posto di Angelo Bagnasco come presidente della Cei, ma fu fermato all'ultimo momento. La stima del papa restò tuttavia immutata e ad essa si deve il trasferimento di Scola da Venezia a Milano (la cattedra di Montini, dopo quella di Roncalli e Luciani): scelta compiuta personalmente da Ratzinger, nonostante la contrarietà di alcuni autorevoli collaboratori. La nomina di Scola (un pastore, dopo un uomo di curia) consentirebbe un rinnovamento radicale, senza gli sconvolgimenti che sarebbero determinati da un papa extracontinentale. La maggioranza assoluta tra i 117 cardinali elettori (68) è europea. Gli altri continenti ne hanno tra 19 e 11 ciascuno.
Tra gli europei, uno dei più autorevoli è il cardinale di Vienna Christoph Schonborn, raffinato allievo di Ratzinger, considerato un riformatore equilibrato. Tra i nordamericani spicca il canadese Marc Ouellet, 69 anni, già arcivescovo di Quebec e oggi alla guida di uno dei dicasteri vaticani più importanti, la Congregazione dei vescovi. Ma anche il giovane arcivescovo di New York , Timothy Dolan (63 anni) è tra i papabili: Benedetto XVI gli ha affidato la relazione di apertura del concistoro durante il quale ha annunciato le dimissioni. Si parla da tempo di un «papa nero», per premiare i cattolici africani. In questo caso il favorito sarebbe il ghanese Peter Turkson. Ma è troppo presto per puntare credibilmente su una candidatura. La riforma curiale decisa da papa Ratzinger prevede che il pontefice sia eletto sempre con i due terzi dei voti( 78 su 117) e cioè con un consenso larghissimo. È certo perciò che non avremo il capo di una Chiesa divisa. E questa è già una garanzia.