Mai nella vita Silvio Berlusconi avrebbe immaginato che Michele Santoro gli avrebbe dato la spinta decisiva per fargli superare di scatto i difficili tornanti di questa rimonta. La campagna elettorale è appena agli inizi e non sarà facile al Cavaliere far dimenticare le numerose insufficienze dei suoi lunghi anni di governo. Ma vederlo trionfare nell'arena che da quasi vent'anni gli è la più ostile ha scaldato i cuori di tanti delusi che - c'è da giurare - torneranno a votarlo turandosi il naso, come disse Indro Montanelli a proposito della Dc nel '76 per evitare lo storico sorpasso del Pci. Il sondaggista Nicola Piepoli valuta in quattrocentomila voti- oltre l'uno per cento dell'elettorato effettivo - il bottino mediatico di Berlusconi da Santoro.
Renato Mannheimer a naso concorda, ma fa un discorso più raffinato: «Il consenso politico - mi ha detto ieri sera - segue le regole dell'innamoramento. Il colpo di fulmine è difficile. L'attrazione nasce tappa dopo tappa. In questo caso si sedimenta trasmissione dopo trasmissione. In quella di Santoro Berlusconi ha capitalizzato la crescita di consenso arrivatagli dopo quelle con la Gruber e con te». E c'è da giurare che i fuochi d'artificio del Cavaliere, soprattutto sul piano fiscale, sono tutt'altro che finiti. Naturalmente è quasi certo che la coalizione progressista di Bersani prenderà il primo posto alla Camera guadagnando un decisivo premio di maggioranza. Ma allo stato è assai difficile che la stessa cosa possa avvenire al Senato.
Sondaggi riservati riferiscono che fin d'ora il centrodestra è sensibilmente avanti in Lombardia e in Sicilia e ha buone probabilità di affermarsi anche nel Veneto e in Campania. Sicilia e Campania sono le due regioni in cui la lista Ingroia può ottenere risultati importanti, togliendo voti a Sel e allo stesso Pd. Fino all'ingresso in politica di Monti, la soluzione del problema sembrava scontata. Pierferdinando Casini non aspettava altro che far pesare il suo contributo determinante alla governabilità. Adesso è tutto più complicato. Bersani ha giudicato quasi offensiva l'iniziativa del presidente del Consiglio e gli ha offerto una tiepida sponda che Monti ha rifiutato. A questo punto la rottura è completa.
Il Professore non vuole collaborare con Bersani: vuole che Bersani collabori con lui una volta che Monti si sia reinsediato a palazzo Chigi. Il segretario del Pd ha respinto con fermezza questa ipotesi, ha ribadito a «Porta a porta» che in ogni caso a palazzo Chigi deve andare chi prende più voti e da due giorni insiste sulla necessità di vedere se sotto i tappeti della presidenza del Consiglio c'è della polvere. Indovinate nascosta da chi.
Mentre Berlusconi sostiene che in caso di pareggio al Senato occorre un accordo: cioè la grande coalizione che Bersani esclude in radice. Come finirà? Da questo momento in poi si entra nella fantapolitica. Qualcuno dice che potrebbe esserci una rottura tra Monti e i suoi compagni di strada e che l'Udc potrebbe fare un accordo separato con Bersani. Ma nessuno è autorizzato seriamente a immaginarlo fino a quando ci sarà una risposta di Casini. Che allo stato non può che essere risolutamente negativa.