La puntata di «Servizio Pubblico» in onda lunedì è stata definita la trasmissione politica dell'anno. Michele Santoro (e Marco Travaglio) contro Silvio Berlusconi. Uno scontro che prometteva colpi di scena e scintille a ogni istante. Le promesse sono state mantenute. Fino alla rissa sfiorata nel finale.
Spenta la tv è cominciato il tormentone: chi ha vinto? Santoro è stato superiore a Berlusconi oppure l'anziano uomo politico ha dimostrato, ancora una volta, una vitalità assolutamente fuori dal comune? Noi non prenderemo parte al gioco. Ci chiediamo, invece, che cosa ha capito l'elettore medio nelle tre ore di duello. Ammesso che abbia avuto la forza e la pazienza di restare incollato al televisore a quali conclusioni è giunto? Certo l'audience è stata altissima: nove milioni di persone in poltrona.
Uno «share» del 33% che negli annali de La 7 è destinata a restare impressa con i caratteri dell'eccezionalità. Ma di concreto che cosa si è visto o sentito? Poco, per la verità. Solo l'estremizzazione della politica spettacolo. Lo show innanzitutto. Le cose dette non contano molto. Rileva solo la maniera con cui vengono esposte. La forma che fa strage della sostanza.
Eppure in tempi di crisi ci saremmo aspettati qualcosa di più concreto. Un'attenzione maggiore ai programmi di rinascita e ai problemi degli italiani. Invece nulla. Già il format lasciava immaginare che la dimensione spettacolare avrebbe prevalso su ogni altro aspetto. Una logica da Colosseo: Berlusconi da solo nella fossa di due leoni (Santoro e Travaglio) che cercavano di azzannarlo e un pubblico sugli spalti assolutamente di parte. Non a caso c'erano scommesse sulla durata dell'incontro.
L'ex premier sarebbe arrivato alla fine? Un incontro di pugilato, non un dibattito politico. Nessuno a occuparsi seriamente dei contenuti. A Santoro interessava il successo di pubblico. All'ex premier la dimostrazione della sua perfetta capacità di stare in partita. Ognuno dei due ha ottenuto quello che voleva con estrema facilità. Fin troppo facile. Al punto da far nascere in molti osservatori il dubbio che, in realtà, fosse un incontro combinato. Non pugni fra pesi massimi ma wrestling, dove i protagonisti fanno finta di darsele di santa ragione in mezzo a urla belluine. In realtà si sfiorano appena.
Se è così, però, come spettatori rivogliamo indietro il biglietto. Se la politica deve diventare spettacolo che almeno sia vera. Non taroccata. È una questione di trasparenza.
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