Alla fine la realtà dei numeri ha mostrato tutta la sua forza. I conti presentati dalla giunta uscente hanno certificato la verità: i soldi sono finiti e senza qualche miracolo (per esempio altri regali in arrivo da Roma) lo spettro della bancarotta potrebbe materializzarsi. Essendo laici, sui miracoli non facciamo molto affidamento. Crediamo, invece, nelle virtù pubbliche. Prima fra tutte la considerazione che i prodigi, essendo eventi straordinari, hanno la tendenza alla irripetibilità. E anche chi, come il Cardinale Romeo, di miracoli se ne intende parla della necessità di avviare una politica di grandi sacrifici per tutti come unica strada per il rilancio dell’economia.
Il vecchio modello di sviluppo ormai è andato in crisi. Non ci sono più soldi per i precari. La cassa dei forestali è vuota. I regali sotto forma di consulenze inutili non sono più consentiti. Invece si fa sempre più vicino il pericolo del dissesto. Una eredità pesante che certamente rappresenta il peggior benvenuto per Rosario Crocetta. Il nuovo presidente ora può scegliere: avviare un vigoroso risanamento oppure tirare a campare cercando soluzioni estemporanee giorno per giorno. Dalle sue dichiarazioni iniziali sembra che voglia scegliere la strada del rigore. Anche l’annuncio che si dimezzerà il compenso suona bene. Certo non saranno pochi spiccioli di risparmio a cambiare i conti. Ma il segnale è meritevole.
Ma diciamo di più. Le ultime elezioni hanno mostrato il cambiamento del parametro. Il vasto astensionismo e la vittoria dei grillini dimostrano che i vecchi riti non pagano più. L’analisi dei flussi elettorali ci dirà come sono andate esattamente le cose. Ma una cosa si può già dire fin da ora. La fuga dalle urne è stata effettuata, innanzitutto, dalle clientele deluse. Difficile, infatti, pensare un voto d’opinione che copra più della metà dell’elettorato. La realtà è molto diversa: non è andato a votare soprattutto chi ne ha percepito l’inutilità sul piano dei vantaggi personali. La credibilità dei boss della clientela è ormai azzerata. Non ci sono più posti alla Regione da assegnare, o forestali da ingaggiare, né posti di precario da scroccare. Nessuno dei candidati ha potuto sfoggiare l’antico armamentario di promesse o di chimerici impegni. La povertà non piace a nessuno e quindi l’affluenza al voto è stata scarsa. Ma è proprio da qui che bisogna ripartire. La caduta del vecchio modello di assistenzialismo pubblico riuscirà, forse, a provocare la reazione delle forze migliori della Sicilia. Nel frattempo ha cambiato i paradigmi delle urne. Forse non siamo ancora all’epopea di Churchill che agli inglesi prostrati dalle bombe della Luftwaffe prometteva solo lacrime e sangue. Ma è evidente che solo la crescita e lo sviluppo possono garantire il futuro e agli amministratori e ai politici. Altrimenti vince Grillo. Il consenso passa dal lavoro e dall’impresa. Quello produttivo che crea ricchezza, non certo l’intervento pubblico ormai solo fonte di sprechi e di dissipazioni. Una lezione di cui il neo-presidente dovrebbe tenere adeguata considerazione. Il sacrificio, oggi, fa rima con il sogno.