È una scossa. Chiara. Inequivoca. Contro il sistema dei partiti e la cattiva politica. Il 53% ha disertato le urne. Il 15% ha votato per il movimento di Beppe Grillo. Così più di due terzi dei siciliani gridano con forza. Esprimono una protesta storica. La Regione si dissolve nell'immagine pubblica. L'Autonomia è ormai un involucro senz'anima. Non siamo sorpresi. Questa scossa, anzi, arriva tardi. Quando l'involucro si è frantumato in pezzi. Senza funzionare più.
Bastano pochi dati per capire. La Regione in Sicilia costa mediamente il doppio rispetto a tutte le altre. Ha il maggior numero di dipendenti con un'Assemblea che conta il maggior numero di deputati. Ma alimenta più che altro se stessa. Non è più un volano per lo sviluppo (se mai lo è stata). Ha il tasso di disoccupazione più alto e un sistema industriale rachitico (grosso modo 500 mila aziende, l'85% delle quali ha meno di 15 dipendenti). Ed è tra le più alte d'Europa la quantità di giovani che non studiano, non lavorano e non cercano un lavoro. Né può dirsi una «Regione sociale». Gli anziani, i bambini e i poveri, secondo l'Istat, hanno qui tutele minori che altrove.
Questa Regione invece alimenta da decenni una «Sicilia della dipendenza». Ha visto crescere enti, strutture pubbliche, consulenze e masse di precari con promesse progressive di stabilizzazione. Centrando prevalentemente il consenso politico sullo scambio di concessioni di favori grandi e piccoli in cambio di voti. Secondo logiche di appartenenza che premiano beneficiari in gruppi e talora in masse diffuse. Ma lo «scambio» funzionava sempre meno. Si sono estinte le risorse. La crisi degli ultimi anni, certo, ha complicato il quadro. Si è prosciugata in misura crescente l'acqua dove i pesci da tempo nuotavano. Ed ora serpeggiano rabbia, delusione e sfiducia. Il giocattolo spegne a poco a poco le luci. Non attrae più. A dimostrarlo la cronaca delle ultime settimane. Presidente e assessori sono stati infaticabili.
Nel bandire concorsi, sbloccare soldi per il personale, decidere nuove nomine e consulenze. Ma il partito del suo presidente ieri ha visto quasi dimezzare i suoi voti. Questa consultazione, si dice, ha una valenza importante sul piano nazionale. È vero. Una coalizione tra Pd e Udc che vince può segnare evoluzioni importanti nel dibattito di un Pd che invece da Roma sembra guardare verso sinistra. La crisi del Pdl che ripete l'insuccesso delle recenti elezioni comunali, indurrà la dirigenza a svolte finalmente risolute come già promette il segretario Angelino Alfano nella conferenza stampa di ieri.
Ma in Sicilia questa elezione può segnare l'avvio di «un'altra storia». Dentro l'astensione dal voto, ci sono molte cose. Non solo la rabbia di chi vuole cambiamenti profondi e mutazioni epocali. C'è anche la protesta di chi è colpito nei suoi interessi legati a un sistema che non funziona più ma vuole che funzioni ancora. L'azione di governo del nuovo presidente deve essere ideata per rassicurare i primi con riforme rapide e spiegare ai secondi che una fase della storia si è chiusa. Non gli sarà facile. Ma su due cose deve essere esplicito. La prima è nel rapporto tra sviluppo e spesa pubblica. Questa non può essere più il motore di tutto. In un'Isola dove tutto, ma proprio tutto, è lambito dai soldi pubblici. Un nuovo rapporto tra Regione e imprese private è ineludibile. Si deve cambiare strada, mettendo gli industriali nella condizione di far nascere di più, vivere meglio e crescere più rapidamente aziende in grado di produrre lavori solidi e duraturi. I fondi disponibili (a cominciare da quelli dell'Europa) devono principalmente puntare a questo. Per moltiplicare le opportunità di impresa nell'isola riuscendo ad attrarre capitali dal centro nord, dall'Europa e dalle nuove frontiere del mondo.
La seconda cosa è legata all'etica pubblica. Se due terzi dei siciliani fuggono dai partiti e dalla cattiva politica, la buona politica può ricongiungersi a loro attraverso riforme visibili ed esemplari. Riducendo i costi, intanto. Qui l'articolo dei giovani di «Addiopizzo» pubblicato dal nostro giornale (giovedì 25 ottobre), contiene indicazioni utili: abolire il finanziamento dei gruppi parlamentari, dimezzare il compenso dei deputati, dare maggiore rigore nel penalizzare rapporti poco limpidi con ambienti mafiosi. Dal nuovo presidente, proprio in ragione delle cose che ha fatto nel contrasto alla mafia, aspettiamo scelte adeguate.
Poi urgono regole nuove per collegare al merito nomine e carriere. Eliminando abusi nella produzione di incarichi e di favori, di consulenze inutili e di nomine non necessarie. Organizzando una rete di controlli rigorosi in grado di prevenire ruberie e sprechi senza ridurre l'efficienza dell'azione pubblica.
Il nuovo presidente incontrerà certamente difficoltà politiche forti. Non avrà una maggioranza in parlamento. Gli saranno necessari accordi e compromessi. La frammentazione potrà bloccarlo con lacci e laccioli. Ma può avere dalla sua la forza della verità. La Regione ha molti conti in rosso. Il rischio del baratro richiede decisioni anche radicali. Se per colpa dei suoi predecessori abbiamo vissuto al di sopra delle risorse, sono nell'interesse di tutti quelle riforme che consentano di raggiungere un equilibrio per evitare il fallimento e avviare una nuova fase nella vita dell'isola. La scossa c'è. È saggio assecondarla per far cadere rami secchi, foglie avvizzite e frutti maturi. La scelta peggiore sarebbe quella di mediare tra il prima e il dopo. Le luci sono accese. E ci vuole molto di nuovo sotto il sole. Buon lavoro Presidente. [email protected]
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