Colpisce molto la lettera del giovanissimo Giuseppe Palermo, pubblicata giovedì su questo giornale. Colpisce perché accende tanti campanelli d'allarme, ma nel frattempo sa ispirare una speranza concreta, che diventa quasi certezza: con giovani così, il futuro della Sicilia è in buone mani.
Giuseppe ha ragione e tre aspetti in particolare non possono lasciare indifferenti coloro che hanno a cuore la nostra Sicilia. Il primo: Giuseppe non andrà a votare perché ha meno di 18 anni, ma si interessa della cosa pubblica e guarda alle prossime elezioni regionali come un’occasione di moralizzazione e di svolta; Giuseppe per l'età che ha sarebbe un componente di quella che i media chiamano "generazione I-Pod", una generazione di scoraggiati inattivi, solipsisti da compagnia, che pattina sulla superficie delle cose senza avere la capacità di andare in profondità. È vero che in Italia quasi due milioni di studenti non studiano, non lavorano e non cercano lavoro. Ma è anche vero che tanti "Giuseppe" ogni giorno si preparano, spesso nel silenzio e nella indifferenza degli adulti, ad essere protagonisti del loro futuro, che è il nostro. E di persone come Giuseppe ne abbiamo davvero bisogno: il secondo aspetto che colpisce della sua lettera è infatti la competenza straordinaria di questo ragazzo che cita numeri ed evidenzia criticità su una questione cruciale per il futuro del nostro Paese: la scuola e la formazione.
L'Italia combina attualmente dei primati negativi. Giuseppe ha ragione. La spesa per la scuola rispetto al PIL regionale è tra le più alte in Sicilia: siamo intorno al 6% laddove la Lombardia spende appena il 2,2%. Eppure i risultati sono deludenti. L'abbandono scolastico è un problema che colpisce in particolare le regioni del Sud. Il fenomeno è particolarmente eclatante in Sicilia laddove gli early school leavers sono più di un quarto degli studenti. L'Europa ci ha dato un obiettivo: ridurre l'abbandono al 10% entro il 2020. In Italia, e in Sicilia in particolare, occorre fare uno sforzo nel sostenere i giovani nel passaggio dal mondo della scuola a quello del lavoro. Per fare ciò è necessario guardare al modello tedesco in base al quale i giovani apprendono nozioni teoriche nella scuola e ricevono contemporaneamente una formazione pratica in azienda. Secondo gli studi della Fondazione Agnelli l'Italia è il Paese con il calo degli apprendimenti più netto fra elementari e medie. Ad aggravare il fenomeno i risultati dei test Ocse che misurano le competenze dei quindicenni in lettura, matematica e scienze, evidenziano come il solo fatto di frequentare una scuola al Nord offra 68 punti (17%) in più del Sud, pari a un anno e mezzo di scuola nelle regioni del Sud dove un terzo dei quindicenni non raggiunge la soglia minima di competenze definita internazionalmente.
Il nostro è un Paese a rischio. È oramai un dato acquisito che le problematiche educative sono passate in secondo piano di fronte all'emergenza della crisi senza aver compreso lo stretto legame che intercorre tra educazione e crescita economica. Chi meglio dei nostri studenti sa come funziona la nostra scuola? Chi meglio di loro può sensibilizzare insegnanti, dirigenti, genitori e poi tutta la classe dirigente ad avere a cuore i temi della formazione? Le scuole non sono forse il luogo in cui, prima di tutti gli altri, le nuove generazioni vengono affidate dalle famiglie alle istituzioni, per diventare futuri cittadini, professionisti, padri e madri? Giuseppe riesce a dipingere una Sicilia nuova, razionale e piena di visioni, come un quadro di Antonello da Messina. Giuseppe invita tutti ad abbandonare i vecchi canoni ed è questo il terzo aspetto che colpisce più di tutti, a rigettare le vecchie abitudini e ad affrontare la competizione elettorale parlando di contenuti, di programmi, di cose da fare. C'è bisogno di un ragazzo con meno di 18 anni, che si prepara alla vita e ne sa cogliere sfumature spesso a noi celate, per riscoprire che la migliore risorsa della Sicilia sono i Siciliani. I giovani siciliani in particolare, capitale umano di cui la Sicilia è fredda esportatrice: una madre che genera, educa, e non sa tenere i suoi figli. Giuseppe non è uno studente qualunque di una scuola qualunque, come con umiltà egli stesso dice. Giuseppe è una piccola fiammella che ci mostra, nel buio di alcuni dibattiti inconcludenti e con paroloni altisonanti, quale sia l'enorme potenziale della Gioventù Siciliana, che a scuola impara a sapere, a fare, ma soprattutto a vivere nella società. Tutti sappiamo che esiste un nesso molto stretto tra scolarizzazione, industrializzazione e illegalità. Quando c'è buona scuola, quando funziona la formazione professionale (e non si riduce a spreco di denaro pubblico) quando cresce il tessuto industriale, i territori vengono strappati al dominio della mafia e della illegalità.
Specularmente mafia e illegalità vivono e si consolidano quando c'è scuola di bassa qualità, formazione professionale che non funziona, desertificazione industriale. Cosa possiamo fare davanti alle denunce dei mali endemici di questa nostra terra? Come possiamo non sentire forte la responsabilità verso il nostro futuro? Le prossime elezioni sono una occasione preziosa perché si affacci una nuova classe dirigente. Una classe dirigente che non sia più rinchiusa nei palazzi, vada nelle scuole, e nelle fabbriche, ascolti in profondità le aspirazioni dei nostri giovani. Noi adulti dobbiamo avere l'umiltà di entrare nell'immaginario dei giovani, di coglierne le speranze, e trovare il coraggio di farci da parte quando è il momento di dare spazio ai giovani. Risuona continuamente, in tono di accusa, la voce dei maestri di questa Regione che hanno forgiato la nostra cultura, ma una domanda più di tutte, forte, secca, sincera, può aprire i riluttanti ad abbracciare Giuseppe e tutti i ragazzi che amano la Sicilia. È la domanda di don Pino Puglisi, che vorrei rivolgere anch'io al prossimo Presidente della Sicilia: «E se ognuno fa qualcosa insieme agli altri?». Ognuno, siamo anche noi. Quegli «altri», sono i nostri giovani. Ora è tempo di rispondere.