Nessuno deve illudersi che l'esplosione di ira antiamericana che per tre giorni ha infiammato il mondo islamico sia stato un fuoco di paglia. Più che una reazione spontanea a uno stupido filmino su Maometto che circolava da mesi su youtube, è stata una manifestazione rivelatrice di quanto lo spirito della jihad -legata o meno ad Al Qaeda - sia ormai diffuso dall'Atlantico all'Asia sudorientale. Nonostante i tentativi del primo Obama di stabilire con il famoso discorso del Cairo del 2009 un rapporto nuovo e più costruttivo con l'Islam, l'ostilità nei confronti dell'Occidente in generale e degli Stati Uniti in particolare continua a crescere; e ora che gli autocrati che si professavano nostri amici, da Moubarak a Ben Ali a Saleh, sono stati sostituiti da regimi apparentemente democratici, ma dominati da una cultura islamista, i sentimenti a noi ostili di una minoranza molto determinata di fanatici avranno modo di sfociare sempre più spesso in dimostrazioni violente. Gli americani sono stati i primi a capirlo e hanno cominciato a chiudere le loro ambasciate nella regione.
L'evento più grave è stato senza dubbio l'uccisione dell'ambasciatore americano in Libia e dei suoi tre aiutanti, frutto non dell'ira della piazza, ma di un'azione pianificata ed eseguita da professionisti del terrore. Era noto da tempo che in Cirenaica opera una milizia formata da reduci dell'Iraq e dell'Afghanistan e ispirata al credo di Osama Bin Laden che, dopo avere partecipato all'eliminazione di Gheddafi, si è ritagliata la sua fetta di potere. È auspicabile che, grazie più all'impegno americano che alle autorità libiche, i responsabili dell'attentato vengano arrestati o uccisi dai droni. Ma la loro eliminazione servirà a ben poco, perché nonostante la scomparsa dello sceicco del terrore simili «schegge» di Al Qaeda, più o meno strutturate, sono presenti in almeno una dozzina di Paesi e aspettano solo l'occasione buona per colpire. Esse sono grandemente incoraggiate dal fatto che l'Occidente non sia riuscito a liberare l'Afghanistan dai Talebani e si appresti addirittura a ritirarsi dal Paese, concedendo agli jihadisti un successo - anche psicologico - che forse essi stessi non si aspettavano.
Al Qaeda non ha più una struttura centrale di comando, come ai tempi dell'11 settembre: Osama è morto, molti capi sono stati eliminati e le comunicazioni sono diventate più difficili. Ma le strutture regionali perseguono i medesimi obbiettivi e possono comunque contare su gruppi di veterani - soprattutto ceceni, arabi e somali - che si spostano da un campo di battaglia all'altro con sorprendente disinvoltura. In questo momento sono attive nel Mali, dove controllano addirittura la metà del Paese; in Siria, dove si sono infiltrate nella resistenza e contribuiscono alla riluttanza della comunità internazionale a intervenire contro Assad; nello Yemen, dove dopo la caduta di Saleh hanno costituito una enclave semindipendente sulla costa del golfo di Aden e sabato hanno lanciato un appello agli jihadisti perché assalgano tutte le ambasciatre americane in Medio Oriente; in Nigeria, dove si sono annesse la setta responsabile per l'eccidio di centinaia di cristiani; in Somalia, dove sono arrivati a controllare tutta la metà meridionale del Paese e a sottoporlo alla sharia più estrema prima di essere respinti da un corpo di spedizione panafricano; in Iraq, dove Al Qaeda in Mesopotamia, che gli americani si erano illusi di avere eliminato, è responsabile per la maggior parte dei quasi quotidiani attentati suicidi; in Algeria, dove i fondamentalisti sconfitti nella guerra civile degli anni Novanta si sono riorganizzati e formano il nocciolo duro di Al Qaeda nel Magreb.
Dopo gli attentati di Madrid e Londra i loro tentativi di estendere il proprio raggio d'azione all'Europa sono stati quasi tutti sventati, ma solo perché abbiamo costituito un servizio di sicurezza internazionale preventivo che - dicono - ci costa quasi l'1% del PIL. La loro capacità di reclutamento tra i musulmani trapiantati in Europa potrebbe aumentare con l'acuirsi della crisi economica; e l'incubo dei servizi è che, con il progresso tecnologico, riescano a passare dalle cinture esplosive ad armi di distruzioni di massa, sottratte ai depositi libici o siriani. È una spada di Damocle che pende sulle nostre teste, e molti esperti sostengono che il filo che la sorregge si sta assottigliando.