Una cerimonia sobria fino a sfiorare la povertà. La parata militare che celebra la Festa della Repubblica è stata veramente una delusione. Senza musica, senza le Frecce Tricolore, con un copione ridotto. Solo il rullo dei tamburi e la fanfara dei bersaglieri che, tuttavia, passando davanti al palco presidenziale si è ammutolita. Ad assistere una folla assai meno ricca e festante del solito. Assenti alcune autorità, come il sindaco di Roma Alemanno che si è fatto merito di non aver partecipato.
Una celebrazione davvero in tono minore che, almeno in questo, rispecchia l'attuale condizione dell'Italia. Un Paese impoverito dalla crisi economica, impaurito del futuro, dubbioso sulle ragioni del suo vivere civile. Il terremoto in Emilia, da questo punto di vista, rappresenta veramente il sigillo dell'Italia di oggi. La terra ha tremato dove non accadeva da cinque secoli. Ha colpito una delle zone più ricche del Paese e ha costretto, seppure per poche ore, alla chiusura alcune delle fabbriche che rappresentano l'orgoglio del Made In Italy: Ferrari, Lamborghini, Maserati. Nomi che girano per tutto il mondo urlando nel rombo dei loro motori l'orgoglio di un Paese. Per qualche ora hanno taciuto anche loro sopraffatti dalle forze soverchianti della natura. A questo punto, sarebbe forse stato meglio anche far tacere le echi delle celebrazioni del 2 giugno. Forse era meglio prendere atto che la nazione è in lutto (e non solo per le vittime del terremoto). E la morte non si festeggia. La festa in tono minore è una mezza misura che non è servita a niente.
Né vale il discorso che ormai gli stanziamenti per l'organizzazione erano stati fatti. Per una volta uno spreco non sarebbe stato considerato del tutto impopolare. Tutti avrebbero capito. Anche i titolari di quelle attività (bar, ristoranti, alberghi, venditori ambulanti) per i quali la parata del 2 giugno non è solo la festa della Repubblica ma anche una festa per i loro affari. Forse il silenzio, come quello che ha preceduto l'inizio della parata, sarebbe stata la maniera migliore per ricordare l'unità del Paese e celebrarne la forza. Nessuno si sarebbe sottratto. Appunto, nemmeno quanti dalla parata ottengono un vantaggio patrimoniale.
Sia chiaro: scriviamo queste cose con dolore. Siamo stati molto contenti quando, dodici anni fa, il presidente Carlo Azeglio Ciampi decise di ripristinare la parata militare. Soprattutto perché aveva deciso di far sfilare anche le divise storiche del nostro esercito. Una maniera per riconciliarsi con la propria storia. L'affermazione che tutte le guerre, giuste o sbagliate che fossero, erano state combattute da soldati italiani. È anche così che si costruisce l'orgoglio civile e lo spirito di convivenza di una nazione. La consapevolezza che il futuro di pace e di concordia universale cui tutti aspiriamo non si deve costruire rinnegando il proprio passato. Per quanto brutale sia stato. A Parigi, nel complesso di Les Invalides, dov'è seppellito Napoleone, sono conservate tutte le bandiere francesi che sventolavano sui campi di battaglia. Sulla Marna come a Dien Bien Phu: eroismi in difesa del suolo nazionale come le avventure coloniali. Vittorie e sconfitte. Tutto fa parte del patrimonio di un Paese. Ecco perché vogliamo che la parata del 2 giugno sia la celebrazione della Repubblica considerata come un bene comune. Se non è così è meglio che non sia.
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