Il 12 agosto del 490 avanti Cristo l'esercito ateniese sconfisse i persiani nella battaglia di Maratona. Il generale Milziade ordinò a un prestante soldato, Filippide, di correre ad Atene per dare la bella notizia. Il giovanotto corse per 42 chilometri (da allora diventati la distanza classica della maratona), arrivò ad Atene e fece appena in tempo a dire «Abbiamo vinto» che stramazzò morto al suolo sfinito dal caldo e dalla fatica. Sarà questo il destino dell'Italia per arrivare al pareggio di bilancio? Ieri c'è stata una curiosa distonia tra i principali giornali italiani e in principali giornali stranieri nell'interpretare il discorso di Mario Monti dopo l'approvazione del documento economico e finanziario. I nostri annunciavano più o meno la ripresa nel 2013 insieme con gli inevitabili sacrifici. Gli altri (gli americani New York Times e Wall Street Journal, l'inglese Financial Times, lo spagnolo El Mundo, il quotidiano economico francese Les Echos) erano unanimi nel rilevare fin dai titoli che l'Italia non avrebbe raggiunto l'equilibrio di bilancio entro l'anno prossimo. Il messaggio ai mercati è stato purtroppo quest'ultimo. Di fatto ieri lo spread ha ripreso la sua marcia d'avvicinamento a quota 400. Il Wall Street Journal, in particolare, ha notato una frase molto allarmante di Monti: «Lo scetticismo intorno al debito pubblico italiano riflette lo scetticismo sulla volontà politica di occuparsene». Un riferimento chiarissimo alla sofferenza dei partiti della «strana maggioranza», solo in parte dipendente dalle imminenti elezioni amministrative.
Sia pure con sfumature diverse, sia il Pdl che il Pd temono davvero che l'Italia faccia la fine di Filippide. Monti ha avuto il merito di non nascondere niente, nemmeno la relazione tra la crisi e i suicidi di imprenditori e lavoratori. Ma non ha illuminato nemmeno con un fiammifero il lungo tunnel che abbiamo ancora davanti. Non ha voluto (o potuto) dire una parola sulla prospettiva di un taglio al costo del lavoro e alla tassazione delle imprese e delle persone e nemmeno sul taglio della spesa pubblica improduttiva, lasciando intatta la sensazione di impotenza manifestata dal ministro Giarda secondo il quale è inutile farsi illusioni sugli esiti della «spending review», cioè della revisione della spesa.
Intanto milioni d'italiani che non sanno niente di spread e di volatilità dei mercati tra giugno e dicembre dovranno fare i conti con la tassa più micidiale della loro vita. Speriamo che il Censis si sbagli, quando prevede che non meno del venti per cento dei proprietari di seconde case saranno costretti a svenderle. Ma l'orizzonte è nero anche per i proprietari di prima casa percettori di un solo reddito medio basso. Fino a metà dicembre non si conoscerà con esattezza l'entità della seconda rata ed è noto che l'incertezza è la peggiore nemica dell'economia, anche domestica. Nell'attesa della stangata, dunque, i cittadini saranno invogliati a non spendere. E i consumi resteranno fermi.
Non saremo certo noi mestieranti a ricordare a un grande economista come il presidente del Consiglio che l'esperienza degli anni Trenta ha indotto la dottrina economica a giudicare incompatibile il pareggio di bilancio con la recessione. L'euro ha messo nella stessa classe troppi studenti poco omogenei per tradizione, preparazione, voglia di studiare e prestanza fisica. In cattedra c'è la signora Merkel e ha imposto di correre la maratona anche agli zoppi. Tra sedici giorni al posto del supponente Sarkozy, che le aveva fatto da stampella traballante, all'Eliseo ci sarà quasi con certezza il socialista Hollande, portatore di una strategia economica completamente diversa. I casi sono due. O i mercati affonderanno la Francia e l'Europa mediterranea o la Merkel si risolverà a rivedere la sua strategia (a cominciare dagli eurobond finora ostinatamente negati) e forse un po' di sole sorgerà anche per noi.
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