Diciassette anni dopo l'uscita di scena di Mitterrand, un suo collaboratore ha riconquistato l'Eliseo per il Partito socialista: il grigio e poco carismatico François Hollande, ha prevalso - sia pure con un distacco minore del previsto - sul vulcanico e aggressivo Nicolas Sarkozy, imprimendo alla Francia una svolta a sinistra che si ripercuoterà in tutta l'Europa. Per vincere, Hollande ha dovuto mettere insieme il 28% di voti ottenuti al primo turno con quelli dell'estrema sinistra antisistema di Mèlenchon e di una parte di quelli del centrista Bayrou e del Fronte Nazionale di Marine Le Pen: una strana maggioranza, coagulatasi soprattutto intorno alla volontà del neopresidente di rinegoziare il Patto di bilancio firmato due mesi fa sotto la pressione della Germania per aggiungervi un capitolo sulla crescita, di tassare al 75% i grandi ricchi di Francia e di combattere la crisi con strumenti neokeynesiani, come l'assunzione di 60.000 nuovi insegnanti. Molti francesi, per la verità dubitano ancora che Hollande, già noto col soprannome di «budino» e considerato fino a pochi mesi fa uomo di seconda fila privo di esperienza governativa che ha ottenuto la candidatura solo in seguito alle disavventure a luci rosse di Dominique Strauss-Kahn, abbia le qualità necessarie per guidare il Paese fuori dalla crisi. Durante la campagna elettorale, si è presentato come l'uomo del pragmatismo e della normalità, capace di riunire i francesi dopo gli anni tumultuosi di Sarkozy. Nell'unico dibattito televisivo ha anche saputo tirare fuori le unghie, mettendo più volte in difficoltà il suo avversario e arrivando almeno al pareggio. Gli errori di Sarko, che per recuperare i voti del Fronte Nazionale è sbandato troppo a destra, l'insofferenza di molti elettori per i suoi modi arroganti e il suo stile di vita e la universale tendenza a penalizzare i governanti in carica hanno fatto il resto. Ma, come ha scritto l'Economist, che la settimana scorsa aveva messo in guardia contro la «deriva statalista» di Hollande, i suoi veri problemi sono cominciati nel momento in cui è stato proclamato vincitore e saranno solo in parte attenuati se, tra un mese, il Ps bisserà il successo nelle elezioni legislative.
Molti hanno scritto che una vittoria di Hollande avrebbe messo fine non solo al cosiddetto Merkozy che ha gestito fin qui la crisi, ma alla stessa asse Parigi-Berlino. Per attenuare il colpo, uno dei primi atti che il neopresidente ha anticipato di volere fare è di telefonare alla cancelliera e annunciarle un suo prossimo viaggio in Germania per trovare un punto d'incontro tra le loro due linee contrapposte. Il suo compito potrebbe risultare meno difficile di quanto sarebbe stato un mese fa, quando la Merkel voleva addirittura fare campagna per Sarkozy. Nel frattempo, le voci in Europa contro l'eccesso di austerità imposto da Berlino e la paura dei suoi effetti recessivi si sono moltiplicate, e perfino alcuni governi di centrodestra contano su Hollande per rendere la medicina meno amara. I risultati delle elezioni di ieri in Grecia, dove i due partiti che avevano dominato la scena politica per mezzo secolo sono stati dimezzati e gli estremisti di destra e sinistra hanno registrato una spettacolare avanzata al grido di «Basta con i sacrifici imposti dalla Germania», rappresentano un ulteriore segnale che di solo rigore si può anche morire. Un piccolo segnale è arrivato alla Merkel anche dalle elezioni regionali dello Schleswig Holstein, in cui il suo partito ha perso terreno nei confronti di Spd e Verdi. Se Hollande saprà mettere un po' d'acqua nel suo vino, potrebbe perciò trovare una cancelliera disponibile a venirgli incontro sul terreno della crescita, sempre che, come contropartita, accetti un miglioramento della governance dell'economia europea. Insomma, siamo a una svolta, ma non è detto che sia necessariamente in peggio. [email protected]
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