PALERMO. Doveva essere una bella domenica, in tutti i sensi - sole e gioco - dopo i fasti ringhiosi del sabato sera. E almeno il campionato non ha tradito la attese, offrendo emozioni e gol a iosa. Più amaro, doloroso, il bilancio umano di una giornata particolare: la mattina ci ha lasciato Antonio Ghirelli, al pomeriggio abbiamo saputo della morte di Giorgio Chinaglia. E metter mano a un commentario delle imprese pedatorie non è difficile: sembra, piuttosto, inutile, se non sciocco. Come altre volte, naturalmente, chè qui non si forgiano i destini dell'umanità e ci s'immerge solitamente nel vacuo fingendo di dargli importanza. Dà almeno sollievo, oggi, sapere che Antonio, il grande Totò Ghirelli, il Direttore dei direttori, in altri tempi era lì a sollecitare il «pezzo», la cronaca della partita, l'idea per il titolo efficace, e magari anche un lampo d'intelligenza. Lui aveva da tempo superato il moto di passione che in tempi lontani l'aveva fatto storico e esteta del gioco del calcio, era tornato pienamente allo studio e al racconto della Politica che l'aveva affascinato fin da ragazzo, testimone di Uomini e imprese di ben altro rango rispetto alla dolente crisi dei nostri giorni. Eppure, le tante volte in cui anche di recente si affrontava una chiacchierata telefonica ispirata dal pallone, non mostrava sufficienza, e neanche sdegno per certi affaracci, che anzi, facendo confronti con la vita quotidiana, parevano bazzecole; allora si passava alla politica, ai Vecchi Fusti di un'Italia - guarda caso - illustrata da personaggi la cui forza e qualità sono smarrite. Ed era una fortuna impagabile godere della sua cultura e della sua dolce ironia. Son sicuro che avrebbe avuto toni nostalgici anche rivisitando la figura di Long John Giorgio Chinaglia, protagonista di una romanzesca stagione di follìe ora tradotte in pagine di cronaca nera, ora in favole da tramandare ai figli e ai nipoti tenuti insieme dalla passione per una squadra - la Lazio - devota più ai Sepolcri che ai trionfi. Così, di questa domenica che porterà alla ribalta altre polemiche, altre moviole, altri veleni, mi è parso giusto cogliere soltanto la Storia di Andrea «Baby Face» Stramaccioni, già nel nome protagonista di un film alla Sordi, anche se non è facile fondere i caratteri dell'Inter Beneamata con quelli del Borgorosso Football Club. A me la prima impresa del tecnico-che-fa-primavera è piaciuta assai: ho visto la vecchia guardia nerazzurra (richiamata da «Baby Face» proprio come giorni fa Di Matteo ha resuscitato Lampard, Terry e Drogba per domare il Napoli) correre accanto ai giovani con giovinezza, mettercela tutta per non tradire l'esordiente «Strama» come già aveva fatto con Benitez, Gasperini, Ranieri. Ho visto la solita difesa colabrodo assistita e salvata da un Milito tornato principe e da uno Zarate folgorato sulla via dell'esilio e dunque in grado di riproporsi fantasista in una squadra senza più fantasia. Una storia di calcio che ha addolcito una domenica amara e che certo sarebbe piaciuta anche a Totò Ghirelli, appassionato di favole in un mondo che non sa più raccontarle.
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