Montagne di rifiuti accerchiano Palermo. Siamo costretti ai titoli forti come quello di ieri: «Cumuli e roghi ai cassonetti, cronache dall’inferno». Più dei nostri titoli, è forte l’allarme dei medici. Dicono senza reticenze che la nostra salute è in pericolo. C’è il rischio concreto di epidemie da topi e insetti. Tra immondizie crescenti pascolano i randagi con relative «leishmaniosi e rickettsiosi». E poi gli effetti indotti. Sotto le immondizie spariscono i marciapiedi. Le carreggiate delle strade si restringono. Perfino le pensiline delle fermate dei bus diventano inutilizzabili... Dopo questo allarme senza precedenti ci saremmo aspettati forti sollecitazioni dalla politica. Invece nulla. L’emergenza è straordinaria. Ma istituzioni e politica vivono nell’ordinario. Solo un turno speciale oggi organizzato da Amia. I comizi continuano. Dei medici e della salute in pericolo nessuno parla. Una domanda semplice e chiara: che politica è mai questa?
Domanda politicamente non corretta, lo sappiamo. Conosciamo le due obiezioni cruciali. La prima è legata allo stato delle cose nelle istituzioni. Palermo vive una «sospensione» politica. Il sindaco si è dimesso. Al suo posto si è insediato un commissario. Resta in carica, è vero, il Consiglio. Ma i partiti sono in campagna elettorale. Undici palermitani si contendono lo scettro di sindaco. Si fanno assemblee. Si incontrano categorie. Si organizzano cene di intrattenimento. Si parla del futuro. Il presente è fuori dall’ordine del giorno. Solo che le immondizie nelle strade sono il simbolo di una crisi di fondo. Che non riguarda solo l’azienda che dovrebbe raccogliere i rifiuti ma tutte le aziende pubbliche e l’amministrazione.
E la crisi si riassume in poche righe.
I soldi sono pochi. I dipendenti sono troppi. I soldi sono pochi perché la politica ha speso male i molti che ha ricevuto in passato. I dipendenti sono troppi perché, spendendo male quei soldi, la politica ha pensato più alle elezioni e al potere che non all’interesse della città. Certo, non solo a Palermo. Questo modello di gestione riguarda l’Isola e la sua istituzione massima. Proprio ieri la Regione ha dovuto rinviare l’approvazione del bilancio. Anche qui non si trovano i troppi soldi che servono per finanziare non solo servizi ma anche sprechi e assunzioni clientelari. In questo presente di cui non si parla c’è il segno del futuro. Questioni drammatiche. Soluzioni difficilissime da trovare. Si può tacere e rinviare?
La seconda obiezione la sentiamo nell’aria. Nei discorsi a mezza bocca e nelle parole tra le righe. Che politica è questa? Ma la domanda così posta spingerebbe all’antipolitica, ossia il rifiuto dei partiti e della democrazia. Ma ragioniamo. Da quattro settimane almeno, a Palermo insorgono dissociazioni e svolte significative. Prima la Chiesa, con il cardinale Paolo Romeo che invita la politica (fatto senza precedenti) a formulare programmi per la città e non limitarsi al conflitto sui nomi e alla gara tra candidati. Non ha avuto risposta. Poi la Confcommercio ha offerto un assessore al sindaco che vince senza distinguere tra destra e sinistra: un modo per denunciare il vuoto di risposte ai problemi della città. Infine la Confindustria ha chiesto di rinviare le elezioni tenendo in carica un commissario. Questa è antipolitica? O non è piuttosto la denuncia forte dell’inadeguatezza della politica davanti ai problemi acuti di una città allo stremo?
Temiamo poi che i silenzi nascondano i desideri dei protagonisti del gioco, di far risolvere ad altri i problemi che invece competono loro. Ricordiamo il giorno orribile. Quando, lunedì scorso, i palermitani hanno vissuto il tormento dei disagi incrociati. Pochi autobus perché scioperava l’Amat. Troppi rifiuti perché i dipendenti Amia si riunivano in assemblee di protesta. Bloccati negli ingorghi continui e ripetuti perché gli operai della Gesip interrompevano il traffico con cortei rallentati e presidii prolungati. Ora i blocchi non ci saranno più. Il commissario straordinario ha trovato i soldi per tirare avanti qualche settimana. Ma ritorneranno. Del resto per trovare i soldi si fa esclusivamente ricorso a ragioni di ordine pubblico: in poche parole si sborsano quattrini perché non mettano a soqquadro la città. Un modo per premiare la protesta incivile e invitarli a rimetterla a soqquadro quando sarà necessario. Non si può andare avanti così. Una fase si è chiusa. Come ha detto Ivan Lo Bello, presidente della Confindustra, a questo giornale: i soldi pubblici sono finiti, bisogna pensare ad altro. Si può sapere a cosa? E si può in questa difficile campagna elettorale parlare di questo e soltanto di questo?
Noi crediamo di sì: Mettiamo a disposizione le nostre pagine. L’invito riguarda tutti. In primo luogo la politica, certo ma anche le forze sociali. I sindacati, per esempio, non possono voltarsi dall’altra parte. Se niente può essere uguale a prima quando i soldi sono pochi e i dipendenti troppi, la questione li riguarda eccome. Bisogna ristrutturare funzioni e mansioni. Aumentare i livelli di produzione e produttività. Rivedere contratti di servizio e, se necessario, turni e retribuzioni, azzerare privilegi ed eredità. La città deve poter vivere. Non può farlo utilizzando risorse che non ha. Già il sindacato commette l’errore di pensare che l’Italia possa crescere mantenendo tutele sconosciute agli altri Paesi, come quello dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori. Non commetta anche quello di potere ritenere che una città come Palermo o una regione come la Sicilia possano crescere mantenendo organici e costi per i quali non ci sono risorse. Abbiamo tutti il compito di eliminare i vizi del passato. Per potere ottenere un futuro. fondi@gds.it