Da una parte, la «piccola» notizia relegata nei «francobolli» della cronaca: al Centro di Identificazione per Immigranti di Ponte Galeria a Roma, da un paio di giorni 120 «ospiti» maghrebini hanno iniziato uno sciopero della fame per denunciare la morte, per suicidio, di un loro compagno. Dall'altra la notizia che un barcone con a bordo una sessantina di persone è attraccato a Lampedusa, dopo essere stato soccorso dalle nostre Guardia costiera e Guardia di Finanza; intervento tempestivo, che però non è servito a salvare la vita di cinque di loro. Il giorno prima ne erano arrivati un'altra cinquantina; e altri barconi, nel frattempo sono stati segnalati. «È fisiologico con l'arrivo della bella stagione», dice Laura Boldrini, portavoce dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr).
Boldrini, che conosce luoghi e situazioni, operando sul «campo» da anni, forte della sua esperienza ci avverte: «Fino a quando ci sono situazioni di tensione in aree non lontane, come il Corno d'Africa, le persone cercheranno un posto sicuro. Dalla Somalia si continua a scappare, come da altri Paesi».
Non più di qualche mese fa i rapporti dei servizi di sicurezza, e da ultimo il Cnel, ci avvertivano che, essendosi normalizzata la situazione nell'area balcanica, le «rotte» dell'immigrazione erano tornate ad essere quelle di un tempo: via terra, o attraverso l'Adriatico, in approdi più «periferici». Oppure si arriva nel nostro paese usufruendo di un banale biglietto d'aereo e visto turistico, che poi finisce nell'immondizia. «Canale» evidentemente, che valgono per cinesi, asiatici, turchi, con un minimo di disponibilità economica, e che in Italia per lo più «transitano»: la loro destinazione finale sono i paesi del Nord Europa.
Qui da noi restano i più «miserabili» tra i «miserabili»: quelli che fuggono come possono dai paesi dell'Africa sconvolti da fame, epidemie e guerre. Lo facevano già, quando i paesi del Mediterraneo magrebino erano stabili, «governati» da dittature; figuriamoci ora, che questi paesi, con l'eccezione del Marocco, sono alla ricerca di un equilibrio che è ancora a dir poco precario.
Situazione che, al di là degli aspetti umanitari, ne comporta di politici. È vero: l'Unione Europa è ben lontana dall'essere - e chissà se, e quando, lo diventerà - quel sogno, gli Stati Uniti d'Europa, che animò Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, e poi Alcide De Gasperi, Jean Monnet e Winston Churchill; siamo piuttosto simili a quell'Europa delle patrie vagheggiata da Charles De Gaulle. Ma siamo soprattutto l'Europa del guicciardiniano «particulare», con ogni paese occupato e preoccupato di tutelare il proprio interesse. Così le nazioni di quella che continua a essere nei fatti la Lega Anseatica (Germania, Polonia, Paesi Bassi, Belgio, Danimarca, e più su, paesi baltici e scandinavi) mostrano un totale disinteresse ai nostri problemi, al pari del Regno Unito: nel cui orizzonte ci sono piuttosto gli ex paesi dell'Impero federati nel Commonwealth. Così i paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono soli: la Spagna; in misura minore la Francia, chiamata comunque a fare i conti con gravi tensioni di carattere razziale; e l'Italia: ognuno, al di là delle dichiarazioni d'intenti e di principio, agisce autonomamente, con risultati a dir poco insoddisfacenti. Vero è che nessuna migrazione, quando è motivata da fame e paura, è mai stata fermata con i mezzi coercitivi: lo sanno bene gli Stati Uniti, che hanno frontiere assai più controllabili delle nostre, e tuttavia devono fare i conti con massicci flussi migratori dal Messico e dai paesi latino-americani. E, inoltre, con una popolazione che sempre più invecchia, una forza-lavoro giovane è necessaria. Ma un conto è predisporre politiche per «governare» un fenomeno complesso come l'immigrazione di massa; altro è lasciarlo di fatto allo stato brado, sperando nella Provvidenza, come accade finora.
Non si riesce inoltre neppure nell'obiettivo minimo di garantire che siano assicurati interventi umanitari di emergenza. Da questo punto di vista, è inaccettabile l'atteggiamento rinnovato delle autorità maltesi. La piccola isola può accampare tutte le ragioni che crede, ma La Valletta non può continuare nella sua tetragona politica di respingimento sempre e comunque. C'è per esempio un barcone con un'ottantina di disperati respinto da Malta, soccorso da un motopesca francese e che ora non sa, letteralmente, a chi rivolgersi. C'è una legge del mare che deve valere anche per Malta.
Quanto a noi italiani, la situazione di Lampedusa rischia di tornare critica come un tempo, e forse di più: dopo la sommossa conclusasi con l'incendio del centro di accoglienza, ci ricorda Boldrini, «è stata dichiarata ”porto non sicuro”. È importante che sia rimesso in grado di funzionare».
Certo, ma è un pannicello caldo. L'isola e i suoi abitanti non possono essere abbandonati a loro stessi, come è accaduto in passato.
I dossier sul tavolo dei ministri degli Esteri Giuliomaria Terzi, degli Affari Europei Enzo Moavero, della Cooperazione Andrea Riccardi, sono giorno dopo giorno corposi e spinosi. È ora di aprirli e di risolvere la questione; continuare a rimandarli serve solo a peggiorare e incancrenire la situazione.
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