Benvenuti a Palermo. Nella città del 44% di disoccupazione giovanile, della spesa per gli investimenti che in un anno è calata del 61% e delle bombe ad orologeria Gesip e Amia anabolizzate e soffocate da eserciti di ex precari, fra meno di due mesi si sceglierà il nuovo governo dopo il decennio di sindacatura Cammarata. Con una campagna elettorale che avanza in un desolante tourbillon di balletti e capriole che vedono in pista tutte le parti politiche. Tutte.
Cominciamo dal centrosinistra. Primarie, Pd a brandelli, testa a testa sul filo del voto, riconteggi, accuse di brogli, carabinieri nelle sedi di partito, indagini giudiziarie, ricorsi e fuochi incrociati. Chi perde (Orlando e l’Idv) piuttosto che riconoscere la sconfitta urla alla vergogna e si tira fuori dal gioco a partita in corso, ribadendo di voler sostenere un candidato (Rita Borsellino) che però ha già riconosciuto la vittoria del rivale (Fabrizio Ferrandelli) e si è dignitosamente fatto da parte. Una coalizione che naviga a vista e intanto cannibalizza se stessa.
Quindi il centrodestra. Nel Terzo Polo, sotto la regia di Fini e Casini e con la benedizione di Raffaele Lombardo, nasce la candidatura di Massimo Costa, rampante presidente del Coni siciliano, sconosciuto ai più. Il quale tace a lungo, ma nelle due uniche conferenze stampa convocate, prima azzarda il suo intento di voler «liberare Palermo dal peccato e dai peccatori» e poi manda a carte quarantotto la coalizione che lo aveva lanciato nell’agone, strizzando l’occhio al Pdl del padrino tradito (forse...) Francesco Cascio. Quel Pdl che intanto tiene a bagnomaria l’autorevole figura dello stesso presidente dell’Ars, candidato un giorno sì e l’altro forse, mentre le maggioranze si fanno e sfanno nel breve volgere di poche ore, fra accuse di tradimento e inattendibilità, scambi di strali, rincorse alle primogeniture e allegri dietrofront. Tanto che ad oggi non si capisce più chi sta con Costa e con chi sta Costa, al di là degli slogan di circostanza.
In tutto questo bailamme, nessuno che si azzardi a parlare di programmi. In una città in cui deve perfino scomodarsi il cardinale che, cosa senza precedenti, convoca i giornalisti per additare emergenze, dettare priorità di governo e mettere in guardia dai professionisti delle clientele. Perchè allora la politica si sorprende quando s’imbatte nella sfiducia diffusa della gente, che invece plaude alle formule dei governi tecnici? A 57 giorni dal voto, forse a questa povera e disastrata Palermo servirebbe proprio un lungo commissariamento tecnico piuttosto che il nulla di questa politica.
Lo strano caso delle elezioni di Palermo
Nella città del 44% di disoccupazione giovanile, della spesa per gli investimenti che in un anno è calata del 61% e delle bombe ad orologeria Gesip e Amia fra meno di due mesi si sceglierà il nuovo governo dopo il decennio di sindacatura Cammarata, in un tourbillon di balletti e capriole della politica
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