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Statuto, risorsa dimenticata

La recente «rivolta dei Forconi», di cui si avvertono ancora gli strascichi, ha riportato ancora una volta la Sicilia alla ribalta nazionale in modo negativo. E non solo e non tanto per gli eccessi con cui tale evento si è caratterizzato, ma soprattutto per l'opacità - per non dire incapacità - con cui il governo regionale ha gestito l'intera vicenda. Prima di recarsi a Roma per chiedere l'intervento di Monti, Lombardo doveva infatti interrogarsi su quante volte avrebbe potuto esercitare le competenze che lo Statuto attribuisce al presidente della Regione non solo per prevenire questi ed altri problemi, ma anche per favorire - anziché un nuovo precariato costoso ed improduttivo - un vero sviluppo della Sicilia che punti soprattutto sui giovani. Lo Statuto è da troppi anni considerato un peso anziché una formidabile opportunità per la nostra Isola. Occorrerebbe infatti saperlo utilizzare al meglio, come peraltro mirabilmente accadde negli Anni Cinquanta, vero periodo d'oro per la Sicilia.
Se condivido dunque ampiamente il ragionamento svolto qualche giorno fa dal collega Antonio D'Alì su queste colonne, non mi ritrovo invece sulla sua conclusione - ma, probabilmente, si è trattato di una provocazione - che, vista la lunga inoperatività dello Statuto, andrebbe messa in discussione "tout court" la stessa autonomia siciliana. Comprendo lo sfogo ma, ripeto, non condivido la tesi. Soprattutto in un momento nel quale, a livello nazionale, c'è chi ipotizza l'eliminazione delle regioni a statuto ordinario per trasformarle tutte in speciali nell'ambito di un ridisegno della Repubblica in senso federale.
Il fatto che, in particolare negli ultimi anni, i governi siciliani abbiano tradito lo Statuto e lo abbiano poco o nulla utilizzato, non deve dunque farci mettere in discussione uno strumento che, al contrario, può ancora rivelarsi indispensabile per puntare ad un rilancio della nostra Isola. Certo, occorre effettuare un'attenta analisi sul perché la Sicilia sta soffrendo gli effetti della crisi economica e finanziaria in maniera più pesante rispetto al resto del Paese. E chiederci, tutti, come intraprendere la via della ripresa. Io penso che vada compiuta una forte modifica dell'assetto regionale che, negli ultimi tempi, risulta fossilizzato. Con le spese correnti che sovrastano ampiamente quelle dedicate agli investimenti e le risorse esterne che potrebbero risultare fondamentali per lo sviluppo - e cioè quelle europee - poco o per nulla utilizzate. Al riguardo, devo rilevare che ho recentemente notato una positiva attenzione da parte del Governo nazionale verso le esigenze siciliane. Nei miei contatti ho inoltre riscontrato una disponibilità al confronto che lascia ben sperare anche circa l'attuazione dell'art.37 dello Statuto e la soluzione dell'annoso problema delle accise. È di tutta evidenza che solo una ripresa dell'economia nazionale potrà determinare anche la crescita dell'economia siciliana, ma è altrettanto vero che alcune iniziative possono e debbono essere prese dal governo regionale per farsi trovare pronti, e con le carte in regola, all'appuntamento. In maniera tale che i siciliani possano puntare dignitosamente al riconoscimento delle loro rivendicazioni. In questo senso, gli studi più recenti indicano che, anche nel Sud, le imprese che possono guardare al futuro con la prospettiva di ottenere buone performances sono quelle di media dimensione. Aziende che, tuttavia, devono comunque essere accompagnate verso il raggiungimento di una mentalità operativa che superi quella «strettamente» regionale. E, da questo punto di vista, un governo regionale serio potrebbe svolgere un ruolo decisivo. Trovando all'interno della nostra comunità le energie per risolvere i problemi, prima di rivolgersi altrove. Sollecitato semmai da una pubblica opinione e da una società civile che, negli ultimi anni, sono state forse troppo tiepide nel rivendicare diritti troppo a lungo trascurati.

*PRESIDENTE COMMISSIONE PARLAMENTARE PER L'ATTUAZIONE DEL FEDERALISMO FISCALE



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