È cominciato lo sciopero dell'autotrasporto che, prima della scadenza di venerdì, rischia di togliere il fiato alla Sicilia. Il copione prevede rallentamento dei rifornimenti, blocco del traffico (come ieri al porto di Palermo e all'imbocco dell'autostrada per Catania), disagi crescenti per la popolazione. Non c'è nulla di eroico nell'offensiva che i tir hanno pomposamente chiamato «Operazione Vespri Siciliani». Proprio il contrario.
Il sopruso di una sparuta minoranza ai danni di tutti gli altri siciliani. Su questo punto bisogna essere molto chiari. Qualche centinaio di tir che impone la sua arroganza al resto della popolazione. Se i blocchi continueranno ci saranno difficoltà crescenti a spostarsi in auto, a muoversi liberamente in città e fuori, a fare la spesa. Senza rifornimenti entro venerdì i negozi rischiano di svuotarsi progressivamente. In particolare di prodotti alimentari freschi. Una violenza tanto più grave, in questo caso, perché la manifestazione è limitata alla Sicilia. Una sfida mirata e sconsiderata. Ma soprattutto vecchia. Terribilmente vecchia. Come se al voltante il tempo non fosse mai passato. Come se la crisi economica fosse un fantasma. Per i padroncini gli anni non passano mai. Lamentano l'aumento delle accise che ha fatto lievitare il prezzo della benzina.
E allora? Le tasse sono aumentate per tutto il Paese. Eppure la mattina gli italiani si annodano la cravatta e vanno a lavorare. Anche per loro il prezzo della benzina è cresciuto. Eppure non si vedono blocchi stradali o scioperi. I camionisti invece non ci stanno. Il carburante è una componente di costo fondamentale per il conto economico della loro attività. E quindi? Non è così anche per i pendolari? E gli agenti di commercio? E tutti quelli che usano l'auto per recarsi in ufficio? Tutto questo non conta per i tir. Nell'Italia delle mille corporazioni, degli interessi blindati, dell'egoismo dilagante ognuno pensa solo a difendere il proprio orticello. Anche se questo può comportare un danno agli altri A tutti gli altri? E poi per cosa? Per chiedere, come sempre, un intervento dello Stato.
Il rimborso pubblico che compensi l'innalzamento della pressione fiscale mantenendo intatta la redditività. E perché? Che cosa danno in cambio i camionisti alla collettività? Com'è migliorata la loro attività? Dove recuperano margini di efficienza? Non si sa. Conta solo che lo stato metta le mani al portafoglio. Il colossale disavanzo pubblico nasce anche da qui. In democrazia è lecita ogni protesta civile, non bloccare la mobilità di merci e persone. Che questa tattica da guerriglia ci sia risparmiata. Ma le avvisaglie sono purtroppo di segno opposto.
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