Dopo le polemiche, dopo le accuse al vetriolo, è il momento di fare chiarezza. Il Museo regionale d’arte moderna e contemporanea di corso Vittorio Emanuele, a Palermo, non deve chiudere i battenti. La vicenda resta pasticciata. Ma non si devono creare pretesti per mettere la parola fine a un’esperienza culturale importante e rilevante per il capoluogo siciliano. Da un lato c’è un allarme per il timore di perdere fondi che facciano sopravvivere Palazzo Riso e consentano una programmazione degna di questo nome. Dall’altro c’è una Regione che sostiene di avere destinato le risorse annunciate, quei 12 milioni in tre anni ritenuti fondamentali per le attività del museo.
Ma dai vertici dei Beni culturali, anche ieri, non sono arrivati quei fatti che avrebbero tranquillizzato gli animi. E al centro c’è Palazzo Riso che già sembra destinato a diventare un simbolo di precarietà e incertezza. Tanto che è stata organizzata un’assemblea aperta agli artisti per protestare e per parlare di futuro. Sembra una scena già vista in questa città. Il teatro Massimo, qualcuno si ricorderà, nel 1974 doveva chiudere per pochi mesi, giusto il tempo per effettuare alcuni lavori. Alla fine, come purtroppo è noto, rimase chiuso per ben 23 anni sottraendo a Palermo una delle risorse culturali più importanti, uno dei monumenti-simbolo. Ecco, non vorremmo che con l’ulteriore problema del restauro e del relativo appalto lungo e travagliato, si trovassero alibi per creare nuovi ostacoli alla vita del museo. Nell’infuriare delle polemiche l’ipotesi di una chiusura è stata definita una «bufala» dal presidente della Regione Lombardo. Alla sua battuta ora seguano i fatti. Concreti.