Da mezzogiorno di ieri Diego Cammarata fa parte del passato di Palermo. Sussurri e boatos su dimissioni anticipate che per mesi hanno drogato il dibattito politico-amministrativo in città hanno trovato compimento nel suo anticipato addio, dopo una sindacatura ultradecennale. Sulla quale, come ampiamente prevedibile, ieri è stato tutto un florilegio di commenti fra lo sferzante e il sarcastico, l’ironico e il gioco a rimbalzo. Nessuno, proprio nessuno, si è risparmiato un proprio personalissimo giudizio sull’operato di un sindaco che ha bene o male segnato la storia recente della città, lasciando comunque più ombre che luci. Ma adesso è già tempo di guardare oltre. In una prospettiva scevra dai personalismi politici che non hanno mai fatto il bene di una collettività. Tanto meno a queste latitudini , dove le emergenze sfociano nell’ordinario e le chiacchiere soppiantano le soluzioni.
Serve tornare a rimettere Palermo al centro del dibattito. Con i suoi tanti, troppi, problemi. A cominciare dai bubboni Amia e Gesip, davanti ai quali - inutile negarlo, al di là delle dichiarazioni di prammatica - Diego Cammarata ha scelto la via di fuga anticipata, che ne precede lo scoppio. Il fatto è che non si tratta nè di contingenze, nè di congiunture, bensì di un purtroppo naturale sbocco di una fallimentare politica assistenzialistica travestita da occupazionale, in cui si è preferito perseguire l’obiettivo del consenso piuttosto che quello della buona amministrazione. Le stabilizzazioni di settemila precari hanno segnato ogni altra attività di governo, sottraendo risorse a settori altrettanto importanti come la scuola, l’assistenza, le opere pubbliche. Un grave errore, di certo il più grande commesso dall’ormai ex sindaco.
Ma non si pensi che il nodo lasciato irrisolto da Cammarata (e stretto dal suo predecessore Orlando) sia una specificità tutta palermitana. Perchè bubboni simili riguardano l’intero Meridione e presto lo stesso Lombardo con la sua Regione anch’essa anabolizzata da robuste infiltrazioni di precari e affini, sarà chiamato a doversene occupare. Palermo oggi vive una stagione di recessione che non è figlia unica della crisi globale - sarebbe un alibi troppo comodo - e che anzi ha determinato l’approdo a quella «città degli abusi e dell’illegalità» recentemente additata dai vertici locali di Confindustria. Servono una burocrazia impermeabile al malaffare, scelte di sana amministrazione che guardino oltre l’oggi e garantiscano speranza e sviluppo . Senza inciuci, senza compromessi e senza farsi beffa di chi le regole le rispetta e però finisce per pagarne dazio a chi invece se ne infischia. A Palermo succede anche questo. Lo sappiano il commissario che il presidente della Regione dovrà ora nominare e il nuovo sindaco che verrà eletto fra qualche mese. Ci aspettiamo una Palermo aiutata dalla politica. Non una Palermo vittima dei politici.