Quando si è insediato il governo Monti, prima ancora che facesse il pieno dei consensi alla Camera e al Senato, parecchi osservatori sostennero che questo esecutivo tecnico aveva segnato, più o meno indebitamente l’eclissi della politica. Come se si fosse trattato di un commissariamento del Paese, degli elettori e dei loro eletti a opera dei tecnocrati di Bruxelles e dei poteri forti di casa nostra. Qualche politico si è accodato a queste posizioni. Che sono infondate. Se c’è il governo Monti è perché la politica ha rivelato la sua inadeguatezza e la sua insensibilità rispetto ai problemi dell’Italia e all’interesse generale che dovrebbe sempre essere la stella polare di tutti gli eletti. La politica è apparsa immiserita e sterile, perduta nei suoi giochetti di bottega e incapace di dominare una crisi senza precedenti e di dar vita a governi efficienti e capaci di determinare le riforme di cui il nostro Paese ha assolutamente bisogno. La crisi ha interessato sia lo schieramento di destra che di sinistra. Cominciamo ad esaminare i problemi e le manchevolezze del Pd che ha creduto di poter ottenere risultati sconvolgenti dopo le dimissioni di Silvio Berlusconi. L’uomo di Arcore ha fatto il passo indietro che l’opposizione auspicava, ma la stessa opposizione con ciò non ha conseguito alcuna vittoria mostrando le manchevolezze insite nella sua struttura. Il Pd ha seri problemi di tenuta interna e di collocazione programmatica. Gli italiani non hanno capito esattamente che cosa questo partito vuole. Innanzi tutto qual è il vero Pd. È quello che si identifica con Di Pietro, quello della sinistra radicale o è il partito di Bersani? Finora la più grossa formazione dell’opposizione si è qualificata come «partito del no» incapace di dialogo e di confronti veri in sede politica e parlamentare. Per non dire della negazione assoluta di qualsiasi riforma, pur necessaria, che utilizzasse la rilevante forza numerica del Partito delle libertà. Più e più volte il Capo dello Stato ha esortato tutti a sviluppare dialogo e confronto e rispetto dell’avversario e della sua legittimazione. Quante prediche al vento. Le esortazioni e i moniti sono caduti nel vuoto, mentre la politica sembrava aver imboccato la via dell’imbarbarimento, attenta più alle campagne mediatiche che agli interessi dell’Italia. È evidente, a questo punto che il Pd non poteva assumere alcuna responsabilità nel governo del Paese. Questa formazione che doveva avere una vocazione «maggioritaria» ha diversi problemi strutturali. Innanzitutto un problema di leadership: Bersani non convince i suoi elettori che assistono agli attacchi che gli rivolgono altre componenti del partito. Lo incalzano la sinistra di Vendola e i giustizialisti di Di Pietro. Ma c’è, ancora più evidente, un problema di incertezza programmatica e ideologica. Che fine hanno fatto i moderati del Pd, quelli che avrebbero dovuto garantire la linea ragionevole del partito? Quelli che in più occasioni hanno fatto comprendere di non essere schierati sempre e comunque per il mantenimento dell’esistente? Oggi c’è un partito ondivago che ha smarrito il progetto di un centro sinistra capace di richiamare anche i consensi dei moderati delusi del centrodestra. Il progetto oggi è sbiadito e il centrosinistra, così com’è, ha perso anche talune rappresentanze tradizionali di questa opposizione «di sinistra». La tendenza, mostrata da alcuni dati, è che molti operai votino a destra, delusi dall’estremismo parolaio della sinistra radicale e movimentista e delle frange più «rosse» del movimento sindacale. Certo, il Pd può ravvedersi. Al nuovo premier ha reso noto che è disponibile a discutere alcune riforme sul mercato del lavoro e in genere sulle relazioni industriali; lo stesso hanno detto organizzazioni sindacali prima paladine soltanto della politica del «no». Il ritorno alla ragionevolezza appare tardivo: basta ricordare la minaccia di barricate da parte del sindacato e del centro sinistra che accolse l’apertura del dibattito sull’articolo 18. In politica nulla va perduto, si deposita nella memoria del Paese e alla fine ogni errore si paga. Adesso si vedrà se realmente la nuova virata del Pd contribuirà all’approvazione delle riforme che Monti ha in progetto e che i vertici europei hanno definito straordinaria e certamente efficaci. Ma la memoria degli errori passati commessi dallo schieramento di centrosinistra è rimasta ed è ancora viva e ciò spiega in parte l’eclissi della politica. È chiaro però che per litigare o mettersi d’accordo bisogna essere in due: il Pd da solo, pur con le sue manchevolezze non avrebbe potuto determinare il presunto commissariamento del Paese. Anche il centrodestra, che analizzeremo in un prossimo articolo. ha avuto la sua parte di colpa. La speranza è che il centrosinistra, dopo questa doccia fredda, si muova verso posizioni più moderne ed europee. La crisi globale sta mettendo a dura prova tutti i governanti d’Europa e la speculazione che stringe i mercati non ha ideologie di riferimento e simpatie politiche. Il Pd dovrà dimostrare di essere, per la sua parte, all’altezza della sfida e di rendere così un buon servizio all’Italia. Questo dovrebbe servire anche a fargli recuperare la rappresentatività perduta in taluni settori della vita nazionale. Una buona e vitale opposizione è necessaria al Paese perché capace di stimolare la risposta ed eventuali correzioni di rotta, se necessario nello schieramento politico avversario. Se queste condizioni si realizzeranno l’eclissi della politica sarà di breve durata e i cittadini non si sentiranno più governati dalla tecnocrazia.
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