Il “benaltrismo” è vizio antico del dibattito politico in Italia. Il copione classico per sfuggire i problemi. «Non è questo il problema centrale, ma ben altro»: una scappatoia utilizzata ieri dall segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. Ha sostenuto, in una intervista a Il Sole 24 Ore, che nel codice di comportamento imposto dalla Ue all’Italia il tema dei licenziamenti è marginale rispetto ad altri impegni come le privatizzazioni delle municipalizzate o la riforma del fisco. «La vicenda dei licenziamenti - spiega - è un tentativo furbo del governo per coprire le mancate riforme». La realtà, però, è ben diversa.
Nella lettera dell’estate scorsa inviata dalla Bce a Berlusconi il tema della flessibilità nel mercato del lavoro figura al primo posto. Non è una volontà perversa ma solo la considerazione che l’articolo 18 esiste soltanto in Italia. Altrove le regole sono più elastiche perché pongono al centro non il posto di lavoro ma il lavoratore. Vuol dire accompagnare quanti restano disoccupati per tutto il tempo della difficile traversata del deserto. In Italia, invece, c’è solo la cassa integrazione limitata ai dipendenti delle aziende maggiori. E tutti gli altri? Perché vengono considerati figliastri? Un sindacato moderno dovrebbe occuparsi di questo tema. Dovrebbe chiedere forme di sostegno al reddito per tutti i lavoratori che restano senza stipendio e contemporaneamente contributi per la loro riconversione. Il benaltrismo di Bonanni serve solo a mantenere le ingiustizie. Con lavoratori super-garantiti che sono quelli impiegati nelle grandi imprese. Gli altri, invece, esposti a tutti i venti della congiuntura. A pagare il prezzo più alto sono i giovani su cui grava tutto il peso della mancata flessibilità.
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