Ieri 64 direttori di testate giornalistiche fra quotidiani di partito, pubblicazioni no profit e cooperative hanno scritto a Napolitano protestando per i tagli al fondo per l'editoria. Hanno motivato la richiesta con la necessità di tutelare il pluralismo dell'informazione. Il Presidente della Repubblica ha accolto l'appello. Chiare le ragioni della richiesta. Ma perché bisogna aiutare solo loro? Tutto il settore - che, lo ricordiamo, produce vari miliardi di fatturato con decine di migliaia posti di lavoro - vive una crisi pesante. Il governo è stato distratto. Basta pensare che per finanziare i prepensionamenti delle aziende in crisi (praticamente tutte) ha previsto una spesa di soli 20 milioni di euro.
Oggi il problema è molto semplice. Gli aiuti di Stato alterano gli equilibri di mercato. Chi li ottiene ha un vantaggio rispetto agli altri giornali, come il nostro, che tutte le mattine trovano in edicola e presso la clientela pubblicitaria le ragioni del loro conto economico. I quotidiani di partito e di cooperative, invece, sopravvivono per legge. A pagare tutti i contribuenti: anche quelli che non ne condividono le idee. E' giusto? Tutta la carta stampata gode di sostegni. Ma si tratta di modeste agevolazioni sui servizi, quelle di cui godono tutti i settori strategici. E tra questi non può che considerarsi la stampa libera come garanzia dei cittadini contro gli abusi del potere.
Oggi la crisi, purtroppo, morde con ferocia.
E allora perché contributi e aiuti pubblici devono favorire alcuni editori e non altri? Il pluralismo dell'informazione è, forse, un patrimonio esclusivo della stampa di partito? Se lo Stato vuole costruire un presidio finanziario non può creare figli e figliastri e considerare alcuni giornali (che non hanno mai avuto alcun contributo) figli di un dio minore. La crisi è di tutti, purtroppo. Non solo di alcuni. Il Presidente della Repubblica, nel sollecitare una riconsiderazione delle politiche per l’editoria, non può non tenere conto di questo contesto.
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