La manovra, versione quinta (ma sarà l'ultima?), conferma il drastico ridimensionamento, non del numero ma delle funzioni dei comuni e delle province. Di queste ultime si ribadisce che saranno sciolte (tutte) e le competenze trasferite alle regioni. Non possiamo certo giurare che questi impegni saranno rispettati, ma registriamo che finalmente il tema del riordinamento degli enti locali venga posto in primo piano, sia pure in nome della riduzione dei costi della politica e delle istituzioni. Siamo per questo più ottimisti del passato perché, paradossalmente, è più facile eliminare tutte le province che una sola parte.
L'esperienza del passato (ma anche quella recente di questa stessa manovra) conferma che non appena si parla di chiudere 20-30 provincie si scatena la lobby di parlamentari e politici locali per sostenerle.
Sarà dura la lotta per cancellarle tutte, ma se la legislatura arriverà alla scadenza naturale, sarà difficile per i partiti, di maggioranza e opposizione (che si sono sempre dichiarati contrari alle province), non votare il ddl costituzionale (il partito di Di Pietro sta raccogliendo firme per una legge di iniziativa popolare).
Ovviamente l'Upi è scesa sul sentiero di guerra, con dossier «terrorizzanti». In pratica, afferma il combattivo presidente, l'onorevole Giuseppe Castiglione, non si accetteranno «scelte calate dall'alto». Come se il Parlamento non contasse proprio nulla; confuta cifre e ne cita altre, secondo cui i costi non diminuirebbero se non di poche decine di milioni. Tutti gli esperti consultati (di destra e di sinistra) la pensano però diversamente. E tutti ribadiscono che si potrebbero risparmiare dai 4 ai 6 miliardi di euro l'anno, senza considerare i minori costi che nel tempo ne deriveranno dal personale che, passato alle regioni, non sarà sostituito per diversi anni quando andrà in pensione. E senza calcolare il patrimonio immobiliare (a partire dalle sedi sontuose) che potrebbe essere alienato. Decine di miliardi di euro da destinare possibilmente a finanziare la spesa sociale.
Ma, ovviamente, le lobby delle 110 province si opporranno «sino all'ultimo sangue» per impedire la chiusura di questi inutili carrozzoni che dovevano sparire già oltre 30 anni fa con la nascita delle regioni. Sembra di essere tornati alle guerre medievali, anche per la riduzione del numero dei comuni al di sotto dei 1000 abitanti. Siamo l'unico paese al mondo che, in nome dei campanili, continua a difendere l'esistenza di comuni anche di 50 abitanti.
Ora, stralciato questo «taglio» dalla manovra, si contesta persino la riduzione dei costi (cancellazione dei gettoni di presenza dei consiglieri, tre soli assessori, ecc.). Eppure chi va in giro per l'Italia si accorge facilmente che vi sono anche sindaci dalle zmani bucate», prediligendo la visibilità mediatica (come è avvenuto a Filettino che rivendica un principato) che il miglioramento dei servizi agli anziani e ai minori.
E poi perché mai, oltre alla cancellazione delle troppe sagre e feste locali, non si prova anche a vendere l'immenso patrimonio immobiliare di proprietà dei comuni (oltre 227 miliardi di euro)? Ma anche i sindaci dei piccoli comuni preferiscono manifestare con la fascia tricolore perché poter spendere di più, anche per favorire le proprie clientele elettorali, fa sempre comodo.
I tagli alle Province e le lobby parlamentari
Tutti ribadiscono che si potrebbero risparmiare dai 4 ai 6 miliardi di euro l'anno Ma gli interessi dei 110 enti si opporranno “sino all'ultimo sangue” per impedire la chiusura di questi inutili carrozzoni che dovevano sparire già oltre 30 anni fa con la nascita delle Regioni
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