La riforma elettorale è nuovamente entrata nell'agenda politica del Paese. Da una parte, c'e l'iniziativa referendaria per l'abrogazione dell'attuale legge elettorale (il "porcellum"); dall'altra parte ci sono le recenti affermazioni del segretario del PdL, Angelino Alfano, di disponibilità ad una revisione dell'attuale sistema. Non c'e da stupirsi di quanto sta avvenendo. In tutte le fasi di trasformazione strutturale del sistema politico si assiste ad un cambiamento del sistema elettorale che esprime i nuovi equilibri del sistema e serve poi a consolidarli. Così e' avvenuto alla fondazione della Repubblica con un sistema proporzionale puro che serviva a consolidare la "democrazia dei partiti" in cui la sovranità popolare veniva totalmente delegata ai partiti, che dopo le elezioni formavano i governi e ne stabilivano l fine. Così e' avvenuto con la crisi della Prima Repubblica ed il passaggio alla Seconda certificato dal celebre referendum elettorale promosso da Mario Segni.
Più del novanta per cento degli elettori allora approvo' il referendum che, attraverso la manipolazione della legge elettorale, produsse un sistema in cui il settantacinque per cento dei seggi venivano distribuiti in collegi uninominali ed il venticinque per cento col sistema proporzionale. Il parlamento si limito' a fotografare il prodotto del referendum con una nuova legge elettorale (il "mattarellum").
Quel referendum, secondo i suoi promotori e la volonta' espressa dal corpo elettorale, segnava l'abbandono del sistema elettorale proporzionale a favore di un sistema che avrebbe dovuto favorire l'indicazione popolare della maggioranza e del Governo.
"Restituire lo scettro al principe". Fu questo lo slogan con cui il politologo Gianfranco Pasquino sintetizzo' quell'evoluzione. Ed in effetti dagli anni novanta del secolo scorso ad oggi abbiamo avuto un sistema politico-istituzionale che ha consentito una competizione politica bipolare in cui l'arbitro e' l'elettore che ha potuto scegliere tra due coalizioni e due candidati alla Premiership tra loro alternativi.
Poi quando due legislature fa il sistema ha conosciuto i primi forti momenti di crisi che si sono manifestati principalmente nell'esasperata litigiosità delle coalizioni dove ciascun partito cercava di rimarcare la propria identità ponendosi in conflitto con gli altri partner della coalizione, c' e' stata una nuova riforma (il "porcellum"). Quest'ultima ha introdotto un sistema in apparenza proporzionale, ma dove esiste un forte premio di maggioranza a favore della lista o della coalizioni di liste che ottiene più voti. La lista e' "bloccata", cioè ha un ordine prestabilito di collocazione dei candidati e quindi i seggi che le spettano sono attribuiti ai candidati seguendo quest'ordine. L'elettore quindi non può esprimere - come avveniva nella Prima Repubblica - una preferenza per il candidato. In sostanza vota solo la lista mentre il potere di scegliere i candidati da eleggere si e' spostato integralmente nelle mani dei vertici dei partiti politici e si sostanzia nella decisione su come definire l'ordine di inserimento dei candidati nella lista.
Da qui sono nate alcune forti critiche da parte di chi ritiene che l'elettore sia stato privato del potere di eleggere i parlamentari che in sostanza sarebbero "nominati" dai leader dei partiti. Oggi nel momento in cui si acuisce la crisi di legittimazione dei partiti politici e cresce la protesta nei confronti della cosiddetta "casta" questo sistema queste critiche hanno preso nuovo vigore. Così ritorniamo a parlare di riforma elettorale.
Ma non e' affatto detto che il referendum elettorale possa essere uno strumento utile. Esso vorrebbe abrogare la legge elettorale vigente (il porcellum) nel presupposto che la sua abrogazione riporterebbe in vita il precedente sistema elettorale (il mattarellum). I giuristi parlano a proposito di "reviviscenza" della normativa abrogata per effetto della nuova normativa abrogatrice di quella vigente. Ma sta proprio qui il punto debole del referendum. Gran parte della dottrina giuridica non ritiene possibile il fenomeno della reviviscenza e nella giurisprudenza costituzionale non ci sono precedenti in cui si è detto che un referendum abrogativo abbia come effetto la "resurrezione" della normativa abrogata. Perciò quando la Corte costituzionale sarà chiamata a giudicare la proposta di referendum potrebbe dichiararla inammissibile. Infatti se manca la reviviscenza della vecchia legge elettorale la sua conseguenza sarebbe la cancellazione della legge vigente rendendo così impossibile l'elezione del Parlamento.
In questo clima potrebbe essere il Parlamento e le forze politiche a riprendere in mano l'iniziativa. Ed è qui che si annida un altro rischio: quello di un ritorno puro e semplice alla proporzionale. Cioè ad un sistema elettorale che toglierebbe agli a lettori la scelta della maggioranza e del governo e favorirebbe la moltiplicazione dei partiti e metterebbe i Governi alla mercè dei negoziati dei tanti gruppi politici, favorendo le politiche lassiste che ottengono la stabilità del Governo a costo di tante concessioni ai diversi gruppi politici. Non è un caso infatti che proporzionale e crescita del debito pubblico siano spesso accoppiati, come dimostra l'esperienza della Prima Repubblica. Perciò la vera sfida che abbiamo di fronte è quella di cambiare il sistema elettorale senza tornare indietro, anche perché stavolta i mercati non ce lo perdonerebbero.
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