Secondo il Bird Strike Committee Italy, gli impatti con volatili su tutti i 37 scali italiani sono stati 620 nel 2009 a fronte di oltre 1,6 milioni di movimenti. Sempre nel 2009, ne sono stati registrati 22 a Palermo così come a Napoli, 83 a Fiumicino, 54 a Trapani, 53 a Malpensa, 41 a Linate, 36 a Catania, 35 a Treviso, 24 a Bergamo. Nessuno a Tortolì, che però ha 290 movimenti contro gli oltre 51 mila di Palermo. Siamo quindi in presenza di un fenomeno che non presenta alcuna situazione di attenzione diversa da quella degli altri scali italiani.
La proposta di ricorrere al falco per ridurre i bird strikes, ci impone un dovere di chiarezza verso gli oltre 4 milioni di passeggeri che nel 2011 hanno volato sul nostro scalo: la circolare Enac APT-01A che regola la materia del bird control (intesa quale attività di mitigazione del rischio avifauna), e specificamente l'allegato 3, dedicato proprio all’uso della falconeria, precisa che questo sistema «va considerato né più né meno come uno dei diversi metodi che possono essere utilizzati nell’ambito della prevenzione del fenomeno birdstrike e che nella maggior parte dei Paesi del mondo questo metodo non viene utilizzato diffusamente, ed è considerato efficace soltanto in alcune situazioni, oltre ad essere molto costoso».
Lo stesso documento, dal quale non possiamo derogare neppure volendo, riporta che «studi scientifici compiuti in Europa e USA, hanno evidenziato che: a) soltanto gli aeroporti di piccole dimensioni sono adatti all’utilizzo del falco; b) soltanto alcune specie di volatili si fanno spaventare efficacemente dai falchi (generalmente i piccioni, le anatre e le pavoncelle; con i gabbiani non sempre ciò avviene); c) l’aeroporto non deve essere situato nelle vicinanze di boschi o ampi bacini d’acqua; c) la frequenza degli atterraggi e dei decolli degli aeromobili non deve essere inferiore ai 3-10 minuti».
Non sarà sfuggito che lo Scalo di Palermo è sul mare e che ha una capacità di 20 movimenti (atterraggi e decolli) all'ora, ovvero uno ogni 3 minuti. Laddove ne sussistano le condizioni, Enac consiglia «l'utilizzo di un falco ogni km di pista» (la pista principale è lunga m 3.326 e quella c.d. dello scirocco, m 2.074), aggiungendo che «un falco può cacciare soltanto poche ore al giorno e durante il periodo della muta non può volare a pieno regime. Inoltre, si renderebbe necessario disporre di una batteria di diversi rapaci e di più falconieri, con conseguenti locali adatti per ospitare i rapaci, i falconieri, per immagazzinare il cibo, per l'assistenza sanitaria, ecc., rendendo in pratica il metodo molto oneroso dal punto di vista economico». Per non parlare poi del «rischio che un falco possa causare a sua volta un bird strike accidentale, con conseguenti gravi di responsabilità da parte del gestore aeroportuale». È per questo, in sintesi, che quasi tutti i maggiori aeroporti civili internazionali non utilizzano questo sistema per allontanare i volatili, che peraltro non ha nessuna evidenza scientifica a livello mondiale di funzionare meglio degli altri sistemi di allontanamento dell'avifauna.
* DIRETTORE GENERALE & ACCOUNTABLE MANAGER DELLA GESAP
Gabbiani nelle turbine? No ai falchi per cacciarli
Il direttore della Gesap, la società che gestisce l'aeroporto di Palermo: "Un metodo costoso che rischierebbe di essere anche pericoloso". E ancora: gli impatti con i volatili "non presenta alcuna situazione di attenzione diversa da quella degli altri scali italiani"
Caricamento commenti
Commenta la notizia